4. ARTE. CRISTO CROCIFISSO CON SAN FRANCESCO, IL COLLEONI E PROFETI (1475 CIRCA-1480 CIRCA)
(a cura di Martina Marchesi, Fabrizio Fasolini, p. Antonio Consonni)
Nel nostro percorso sulla ‘passione’ di Gesù vi invitiamo a contemplare davanti agli occhi l’affresco di «Gesù crocifisso con san Francesco, il Colleoni e Profeti», con l’immagine della nostra PICCOLA GUIDA dell’INCORONATA, ma un giorno speriamo in presenza, presso la Antica sagrestia del nostro Chiostro Grande.
LA STORIA. Dalla primavera 2023 (in occasione delle giornate FAI presso Martinengo e la nostra Incoronata) è stata ri-allestita l’Antica sagrestia della chiesa di Santa Maria Incoronata, che si trovava nel Chiostro grande del Convento. Nella stanza è stata fatta una riproduzione di un originale apparato decorativo fino ai primi anni del 900: è il GESÙ CROCIFISSO CON SAN FRANCESCO, IL COLLEONI E PROFETI (1475 CIRCA-1480 CIRCA).
Questi affreschi furono strappati nel 1912 circa per volere del padre superiore dell'epoca per raccogliere qualche risorsa economica per i piccoli orfani ospitati e per le esigenze della comunità religiosa, secondo una pratica abbastanza diffusa in quei tempi. Venne incaricato il restauratore Steffanoni che strappò gli affreschi, trasportandoli successivamente su tela rendendoli dei veri e propri quadri/opere mobili, facilmente trasportabili e di conseguenza vendibili. Dopo essere stati venduti, dei tre affreschi se ne persero le tracce, finché non vennero riscoperti agli inizi degli anni '20 all'interno della collezione di Castel Sant'Angelo a Roma, dallo storico bergamasco Bortolo Belotti, che si mobilitò in tutti i modi per riportare in patria (cioè a Bergamo) questi affreschi. L'intento venne raggiunto solo in parte, perché i due pennacchi laterali coi profeti infatti sono ancora oggi conservati ed esposti in Castel s. Angelo, mentre la Crocifissione ritornò ‘in patria’ solo a seguito dell'intervento di Mussolini nel 1934. Attenzione “ritorno in patria” e non “a casa” perché la crocifissione non tornò all’Incoronata, ma venne consegnata al Luogo Pio Colleoni in Città alta, dove è tuttora conservato.
L'autore è il cosiddetto Maestro di Martinengo, da poco (dicembre 2022) identificato nei pittori Antonio e Matteo Zamara da Chiari. Il loro stile si caratterizza per un attaccamento ancora agli impostati modelli compositivi del primo quattrocento, ma presentano allo stesso tempo dei tocchi di innovazione che sottolineano la loro conoscenza della maniera di Vincenzo Foppa e di Andrea Mantegna.
L’AFFRESCO. Esso presenta al centro Cristo Crocefisso, che si staglia su un paesaggio roccioso. Lui domina la scena, lui è il Signore della terra, del mondo. Il suo volto mite è reclinato, in atto di abbondonarsi a sorella morte.
Ai suoi piedi troviamo, a sinistra, San Francesco d'Assisi genuflesso in adorazione. Veste il saio francescano, semplice/povero, e mostra le stigmate sulle mani, segno della sua ‘passione’ per Gesù. A destra invece abbiamo il condottiero Colleoni, fondatore del convento, inginocchiato in atteggiamento di devozione, con lo sguardo rivolto davanti a sé e che veste i panni del condottiero con l'armatura, un tempo argentata, perché ricoperta da una lamina metallica, e resa nelle sue parti costitutive grazie alle incisioni ancora ben visibili a occhio nudo. Oggi di questo effetto perduto rimane solo il fondo di preparazione, che da questa colorazione scura all’armatura.
Il Colleoni è qui rappresentato come uomo d'arme e di potere, e tuttavia nonostante la ‘violenza’ che ha segnato tutta la sua vita riconosce -attraverso l’inginocchiarsi davanti al Crocefissio- chi è il Signore della sua vita; chi è il suo Capitano; chi deve seguire! È in ginocchio ma indossa ancora l'armatura, sta pregando ma tiene tra le mani giunte il berretto alla capitanesca, copricapo dei signori e dei condottieri nella seconda metà del Quattrocento e simbolo di potere, sta adorando Cristo ma il suo sguardo, a differenza di quello di San Francesco, non è rivolto al Salvatore ma, imperturbabile, è fisso davanti a sé in una calma olimpica, che esprime quel dominio di sé e del mondo proprio dell'uomo del Rinascimento.
Il colore rosso, richiamato nel cappello e nella cintura, è simbolico e indica il più alto grado nella scala sociale.
La composizione, schematica e convenzionale, è riscattata dal pungente ritratto del Colleoni, probabilmente preso dal vivo, e dallo sfondo paesaggistico, influenzato dallo studio del Mantegna che l'anonimo maestro poté conoscere attraverso testimonianze indirette. Il livello notevole del ritratto, memore dei celebri esempi del Pisanello, confermerebbe un'esecuzione dal vivo e quindi una datazione anteriore al 1475. Tutti i successivi ritratti del condottiero si basano su questo prototipo. Il ritratto del Colleoni fu probabilmente eseguito quando ancora era in vita. Il pittore si rifà alla ritrattista del Quattrocento: di profilo e statico. Ma ciò che lo eleva è la qualità e la resa dei dettagli fisiognomici. Non è un caso che tale ritratto sia stato presto utilizzato come prototipo nella ritrattista colleonesca dei secoli successivi: si veda Moroni nel Cinquecento, fino ad arrivare ad alcuni artisti bergamaschi dell’800 orbitanti intorno all’Accademia Carrara.
Anche Francesco fu condottieroe soldato come Bartolomeo Colleoni, ma gli esiti della loro vita furono diversi: la conversione di Francesca più immediata, lo spirito religioso di Colleoni dopo la vita a servizio della Repubblica di Venezia e dello Stato di Milano
L'ISCRIZIONE SOTTOSTANTE. Essa fu aggiunta poco dopo la morte del Colleoni, ricoprendo parte del fondo sassoso e della cornice, e fu ripassata, con vari errori, dopo lo strappo del 1912.
L'iscrizione latina, aggiunta all'affresco poco dopo la morte di Bartolomeo, riporta notizie sui monasteri di Martinengo costruiti o restaurati dal Capitano. Divenuta in gran parte illeggibile, fu ridipinta con vari errori ma, grazie ad antiche trascrizioni abbiamo il ricordo del testo originale, che in italiano recita pressappoco così: «Il fu Bartolomeo Colleoni, valoroso comandante dell'esercito della Serenissima, nobile bergamasco della casa d'Angiò, signore di Martinengo, Romano, Ghisalba, Malpaga, Cavernago, Palosco, Urgnano, Cologno e Solza, con sentimento devoto per il serafico ordine di San Francesco e condotto da pia compassione, adornò questo tempio di magnifici arredi per il culto divino e, in primo luogo, portò a compimento fino alla calce questo ampio monastero a sue spese.
Inoltre, per soddisfare un pio voto della sua benemerita consorte, l'illustre madonna Tisma [TISBE], costruì, ornò e dotò il monastero di Santa Chiara nel Castello di Martinengo.
Morì il nobile e illustre Bartolomeo il 3 novembre 1475 e perciò in quel giorno, ogni anno, i frati e le monache devono celebrare per l'anima sua una messa in suffragio per non peccare di ingratitudine».
Autore
- A cura di Martina Marchesi, Fabrizio Fasolini, p. Antonio Consonni
Data
- 30/03/2024