Educare è dire, agire o essere? Cioè la funzione educativa si esplica attraverso ciò che diciamo e raccomandiamo al bambino/ragazzo (dire), attraverso i nostri comportamenti che il bambino/ragazzo osserva (agire) o attraverso ciò che “siamo” come persone, attraverso il nostro modo di “stare al mondo” (essere)? In definitiva, l’educare è una questione di parole o di testimonianza di vita?
Dire. Spesso noi adulti pensiamo che educare significhi innanzitutto dire al figlio o allievo come comportarsi, cosa fare e cosa non fare, quali obiettivi avere nella vita, quali rischi evitare, ecc. Cioè spiegargli e raccomandargli una serie di regole o di criteri che lo aiutino a maturare, mettendolo in grado di affrontare la vita autonomamente e responsabilmente. Nel fare ciò ci ispiriamo ad un modello di adulto che esplicitamente o, spesso, implicitamente abbiamo in mente, avendolo definito attraverso le esperienze e gli insegnamenti che la famiglia e la vita ci hanno fornito. Sicuramente ciò che diciamo ai figli/allievi è importante, ma forse la parola non è il centro dell’educare.
Agire. I ragazzi osservano come noi adulti ci comportiamo, come agiamo e come reagiamo alle situazioni, quanto teniamo fede nei fatti (agire) a ciò che proclamiamo e insegniamo a parole (dire). Il comportamento dell’educatore è spesso un modello a cui il ragazzo fa riferimento, in positivo ma anche in negativo: non a caso si parla di buoni e di cattivi maestri. L’agire dell’educatore è quindi fondamentale, perché il suo comportamento è una leva importante di apprendimento per il figlio/allievo.
Essere. Ma le azioni mostrano come noi siamo. Spesso sono automatiche e quasi involontarie. Ci viene naturale comportarci in un certo modo, perché “siamo fatti così”. Sotto le azioni c’è il nostro “essere”. Nella relazione educativa diamo testimonianza del nostro essere, cioè del tipo di persona che siamo, del senso che diamo alla vita. Probabilmente questo è ciò che maggiormente colgono i ragazzi.
Se pensiamo all’eredità educativa che ci hanno lasciato i nostri genitori, ricordiamo sicuramente alcune loro frasi o insegnamenti (dire), così come alcuni loro comportamenti (agire), ma soprattutto pensiamo a come loro “erano”, cioè a loro come persone, al loro modo di stare nella vita: passione, determinazione, impegno, gioia, positività, fiducia, speranza, onestà, generosità... Anche ai nostri figli/allievi rimarrà in eredità soprattutto ciò che noi “siamo” come persone.
Relazione, emozioni, autenticità. Il nostro “essere”, la nostra persona, viene messa in gioco quotidianamente nella relazione con i ragazzi. È attraverso la relazione che ci manifestiamo come persone: mostriamo le nostre ricchezze e le nostre povertà, ma soprattutto, appunto, il nostro rapporto con la vita.
Nella relazione attiviamo e condividiamo emozioni e sono proprio le emozioni che fissano i ricordi. Episodi che ricordiamo del rapporto con nostri educatori sono spesso legati a emozioni intense provate in quel momento.
Nella relazione siamo chiamati dalla responsabilità del ruolo educativo ad essere autentici. L’autenticità comporta anche il riconoscimento dei propri limiti. Può capitare di non essere coerenti o comunque di compiere errori, ma è importante riconoscerlo. Ammettere con trasparenza i propri limiti può essere persino d’aiuto al figlio/allievo, perché rende “umano” l’educatore e lo avvicina, evitando di farlo apparire un modello irraggiungibile.