Davanti alla Trinità con S. Francesco e S. Alessandro
Entrando nella nostra bellissima chiesa dell’Incoronata non è possibile non rimanere senza parole davanti al grande affresco della Crocifissione del tramezzo di Pietro Baschenis.
Il silenzio avvolge l’aria trascinandoci dentro la scena, come spettatori davanti al grande schermo di un film, dove tutto appare fermo e cristallizzato nel tempo. I colori vividi emergono illuminando, quasi di luce propria, l’ambiente quattrocentesco (la Chiesa è stata inaugurata nel 1475) e l’attenzione viene concentrata tutta verso forme e colori che siamo abituati a cercare quando entriamo nella storia.
All’improvviso, emerge defilato sulla parete di destra, un quadro di Domenico Carpinoni: la Trinità con S. Francesco e S. Alessandro.
I colori sono caldi, quasi scuri. Un fugace accenno di affresco lo incornicia, quasi a riprodurre due mani che si allungano verso di noi, con timore, per mostrarci che anche lui è presente, anche lui merita attenzione.
Realizzata tra il XVI e il XVII secolo, l’opera riprende l’impianto iconografico classico del manierismo e della prima Controriforma, che vede lo spazio superiore dedicato ai soggetti sacri, mentre quello inferiore ai santi, intermediari tra la divinità e il mondo terreno.
Il pittore realizza un quadro in cui i colori carichi di vibrazioni e luminescenze, ci riportano ai paesaggi veneziani. Le forme e le anatomie invece interpretano la lezione romana, creando un perfetto incastro delle osservazioni svolte lungo i suoi viaggi.
L’opera raffigura una crocifissione, diversa dalla classica rappresentazione del tema. Gesù appare umano, provato dal dolore e quasi sconsolato. Non è però solo. Dio è con lui e lo sostiene. Lo sorregge. Ancora una volta, aiuta suo figlio a sostenere i mali del mondo, a sacrificarsi per salvarci. È il dettaglio delle mani di Dio che stringono quelle di Gesù a rendere questo quadro meraviglioso. Per farsi forza, Dio è portato a piegarsi sulle gambe usando solo una nuvola come sostegno, mentre la luce proviene dal regno dei cieli e illumina fiocamente ciò che sta attorno alla composizione centrale.
Quasi defilata, ancora una volta, tra Dio e il figlio, troviamo la colomba simbolo dello Spirito Santo che, bianca, si appoggia alla croce, spingendosi in avanti, verso la terra.
Sulla sinistra S. Alessandro, patrono della diocesi di Bergamo, veste l’armatura della sua iconografia, ma particolare interessante, non la veste delle legioni romane a cui apparteneva prima di essere martirizzato. L’armatura e la bandiera con lo stemma del giglio bianco, sono più recenti, probabilmente ispirate a quelle dei cavalieri del XVI secolo, periodo di realizzazione del dipinto.
San Francesco, invece, sulla destra appare in estasi, umile e stupito. Apre le braccia in attesa di una risposta, quasi incredulo davanti a ciò che gli si pone di fronte.
Ai piedi della croce un teschio che, posto tra i due santi simboleggia la consapevolezza che la morte resta il mistero vinto da Cristo, mentre a noi non resta che tornare ad incantarci sul particolare delle mani di Dio che stringono quelle del figlio e si aprono quasi in un abbraccio, mentre creano una composizione circolare chiusa dagli sguardi di S. Alessandro e di San Francesco che, in adorazione, ci fanno tornare sulla terra, in attesa della salvezza.
In questo tempo di Pasqua è bello mettersi davanti a questo quadro per contemplare l’amore di Gesù che, nella sua passione e morte, non è stato solo, ma sostenuto dalla tenerezza del Padre e dalla forza dello Spirito. Noi dobbiamo essere forti come il guerriero s. Alessandro e amanti come s. Francesco.
(IMMAGINE: Trinità con d. Francesco e s. Alessandro, Domenico Carpinoni (Clusone, 1566-1658), Chiesa dell’Incoronata dei religiosi della Sacra Famiglia)