Quando è il momento giusto per dare uno smartphone a mio figlio? A questa domanda ci sono le più svariate risposte.
C’è chi sostiene che non sia importante l’età del figlio e consegna questo strumento già a 2 anni, magari appoggiato al passeggino davanti al piccolo così che possa scrollare e digitare quello che più lo attira e stare tranquillo durante una passeggiata. O c’è chi resiste a regalarlo e a farlo utilizzare in autonomia fino a che non sia il figlio a insistere, probabilmente mosso dal gruppo degli amici, con l’idea che altrimenti rimarrebbe isolato (??) e escluso (??). C’è poi chi sottolinea che con uno smartphone/tablet è possibile fare scoperte incredibili, essere informati in tempo reale sulle notizie, approfondire le proprie conoscenze, coltivare passioni, imparare lingue straniere e tante altre magnifiche cose, quindi meglio che impari subito ad utilizzarlo: pensando ai tanti ragazzi che incontro mi chiedo quanti realmente hanno un dispositivo connesso e lo utilizzano veramente e principalmente così!
Alberto Pellai e Barbara Tambolini nel loro libro affrontano in modo semplice ma chiaro queste situazioni, basandosi sulla loro esperienza di professionisti nel campo e sulla ricerca scientifica. Sono convinti che è arrivato il momento di dar voce a una preoccupazione diffusa ma ancora troppo taciuta e poco condivisa: abbiamo figli che sanno maneggiare qualsiasi schermo, ma che non reggono la fatica di leggere un libro dall’inizio alla fine o di affrontare un litigio guardandosi negli occhi. La dilatazione del tempo virtuale sta erodendo il tempo vissuto in carne e ossa, producendo una privazione importante nella vita dei ragazzi e delle ragazze. Accompagnarli nell’uso controllato e definito delle tecnologie è un vantaggio molto più che uno svantaggio. E, allora, perché non aspettare i quattordici anni per regalare un dispositivo tecnologico di proprietà? O, se abbiamo già dotato un figlio di un dispositivo a uso personale, perché non rivedere la nostra posizione e fare qualche passo indietro?
Ma su che basi porre questo limite di 14 anni o rivedere la nostra posizione?
Un primo punto di riferimento da tenere in considerazione è la ricerca in questo campo, che evidenzia l’insorgere di seri problemi di salute causati da una iperconnessione, quali la sindrome di dipendenza da tecnologie, tanto che in moltissime nazioni, Italia compresa, si aprono centri specializzati per la cura di questa patologia; un calo generale del rendimento scolastico e della capacità di attenzione: quanto più precoce e intenso è l’uso delle tecnologie, tanto più alto è l’impatto negativo sullo sviluppo delle capacità cognitive; una riduzione generale delle competenze sociali per la vita, ovvero di quelle abilità che si acquisiscono con l’esperienza e che poi vengono usate per gestire problemi e situazioni della quotidianità (è in particolare la fiducia verso gli altri a venire meno); sovrappeso e obesità, che sono in aumento mentre diminuisce la pratica dell’attività fisica; miopia infantile: in moltissime nazioni sviluppate, l’uso eccessivo e sempre più precoce degli schermi riduce il normale sviluppo della competenza visiva poiché va a sovraccaricare la visione ravvicinata e a depotenziare la funzione di accomodamento della messa a fuoco per ottenere una visione nitida da lontano. Questo processo di messa a fuoco da lontano è molto sollecitato nella crescita stando all’aperto mentre gli schermi di fatto riducono l’allenamento naturale degli occhi; i disturbi del sonno.
Un secondo punto assolutamente fondante la prospettiva posta dagli autori è che affinché un dispositivo connesso sia uno strumento di apprendimento serve un progetto educativo forte che ne connoti e ne indirizzi l’utilizzo attraverso regole condivise e discusse.
Un terzo punto riguarda noi adulti, cioè, quale e quanta consapevolezza abbiamo di come noi stessi utilizziamo questi strumenti e che esempi di abitudini comportamentali e di significato diamo ai nostri figli.
Non mi resta che augurarvi una buona lettura.