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358. EDUCAZIONE. «Mamma che noia». Come ridare la carica ai figli svogliati

358. EDUCAZIONE. «Mamma che noia». Come ridare la carica ai figli svogliati

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Troppi impegni e troppe aspettative da parte dei genitori generano ansia, stress ma anche sofferenze peggiori. I consigli della psicologa Ellen Braaten per risvegliare la motivazione dei ragazzi.

Un’ora a judo, poi la lezione di violino. Ma in fretta, senza perdere tempo, che alle 16 c’è catechismo. Alle 18 collegamento on line per fare insieme al gruppo i compiti di matematica. Risultato? Alla sera i nostri ragazzi hanno lo sguardo spento e la lingua bloccata. Inutile rivolgere loro la parola. Non rispondono e non mostrano reazioni. L’unica parte del corpo in attività sono le dita che continuano a correre sul telefonino. Non c’è da stupirsi se, di fronte a programmi quotidiani più fitti di quelli di un supermanager, che non lasciano loro spazio per nessuna variazione sul tema, che tolgono il respiro e consumano tutte le energie, siano sempre di più quelli che si tirano da parte. All’inizio sembrano svogliati e apatici. Poi succede che decidano di non andare a scuola, mandare al diavolo i vari programmi e corsi di allenamento e di perfezionamento. E alla fine si chiudono in camera. Fine delle trasmissioni.

I genitori sbottano: “Ma come? Faceva sport, andava bene a scuola. Ora sembra che non ci sia più nulla che possa interessarlo. È diventato svogliato, pigro”. Una condizione comune in tutto l’Occidente. I ragazzi, dicono gli esperti, hanno perso la motivazione. Tante le ragioni. Alcune facilmente intuibili. Schiacciati dalle aspettative talvolta esagerate dei genitori, dalle richieste di performance scolastiche e sportive sempre più pressanti, da difficoltà relazionali con il gruppo dei pari, dove non di rado rivalità e bullismo rendono ancora tutto più difficile, quelli che preferiscono alzare bandiera bianca sono in numero sempre maggiore.

Una “non scelta” che finisce per confinare ragazzi e, in misura minore, ragazze - nel pianeta femminile la resilienza è maggiore - nel recinto esclusivo del virtuale, con tutti i rischi ben noti: isolamento psicologico, perdita di autostima, confusione tra digitale e reale, malessere crescente. Per aiutare questi adolescenti a rimettersi in gioco, per avvicinarsi con prudenza e misura al loro disagio, occorre avere le idee ben chiare. E osservare alcune regole importanti, per evitare di fare più danni che benefici.

Lo spiega bene un’esperta come Ellen Braaten, docente di psicologia presso la Harvard Medical School, in un libro uscito da poco, Ragazzi brillanti ma senza interessi. Come risvegliare la motivazione di vostro figlio (Franco Angeli, pagg.228, euro 29). La studiosa, che ha lungo indagato l’area della valutazione dei disturbi dell’apprendimento e dell’attenzione, accompagna i genitori a individuare i motivi che potrebbero aver contribuito a spegnere l’interruttore della voglia di fare. È venuto meno il desiderio? La forza di volontà? L’autostima? O ci sono ragioni più complesse, legate ai rapporti con i coetanei? O, ancora, è opportuno indagare la sfera della salute, il sonno, il cibo, il cui equilibrio potrebbe essere stato sbilanciato da una sofferenza psicologica. E poi c’è, impalpabile e micidiale come sempre, lo stress “uno dei motivi per cui i ragazzi si scoraggiano e si perdono”, scrive l’esperta.

Proprio pensando alla vita fin troppo affollata di appuntamenti e di impegni dei nostri ragazzi, Braaten sottolinea che una delle “maggiori fonti di stress è la sensazione di non avere il controllo della propria vita”. La preoccupazione di non riuscire a fare bene i compiti – per citare la causa apparentemente più banale – può diventare una fonte di stress cronico, oltre naturalmente a cause più gravi, come è stato il Covid negli scorsi anni. Se poi allo stress dei ragazzi si somma quello dei genitori, innescato proprio dalla preoccupazione di questo momento di sbandamento da parte dei figli, la frittata è fatta.

Inutile arrabbiarsi, sbraitare, inveire. Calma. Un bel respiro e ripartiamo. Per esempio, è un altro suggerimento della psicologa, individuando e valorizzando i punti di forza dei figli. Invece di reprimerli lamentandosi di loro, proviamo a innescare nuove energie. E quali sono questi punti di forza? Li abbiamo ben chiari? Un aiuto, per individuarli, potrebbe arrivare da insegnanti, allenatori sportivi, ma anche nonni e zii potrebbero fornire indicazioni che magari a mamme e papà sfuggono. Una strada semplice potrebbe essere quella di riflettere alle situazioni in cui nostro figlio, nostra figlia si mostrava particolarmente felice prima che arrivasse la fase di “congelamento del desiderio”. Ci possono essere abilità sportive, ma non tutti i ragazzi devono essere campioni in questa o quella disciplina. Anzi, spesso l’insuccesso sportivo, o anche la sensazione di aver deluso proprio in questo campo le attese dei genitori, è fonte di stress. L’esperta suggerisce di esaminare con attenzione le attitudini in ambito scolastico, le abilità sociali ed emotive, ma anche nella musica, nell’arte e in altre attività. Spesso basta una piccola perla per riconquistare autostima e voglia di fare.

Dopo le competenze, un’altra strada opportuna per aiutare un figlio, è quella di mettere a fuoco cosa lo rende felice. All’inizio sembra la ricerca più complicata. La prima cosa, infatti, che i genitori raccontano a proposito di un ragazzo svogliato in modo apparentemente patologico, un ragazzo che sta tagliando i ponti con il mondo che prima frequentava con interesse, è che “non c’è nulla che lo renda felice”. Naturalmente, assicura la psicologa, non è proprio così. In ogni situazione esistono attività capaci di scuotere l’apatia e di sciogliere la noia. In questi casi, è il suggerimento di Ellen Braaten, si tratta di mettere in discussione schemi familiari che si ritengono consolidati. Forse non passiamo abbastanza tempo con nostro figlio, forse occorre assicurarsi che nella nostra famiglia “l’abnegazione e il sacrificio non siano gli unici valori considerati tali”. Valori importanti, naturalmente, ma quando diventano obiettivi esclusivi, quando si lavora troppo, quando si punta troppo al risultato, ecco che quel “troppo” finisce per scatenare ansia e senso di inadeguatezza. E quindi riecco il desiderio di fuga dal mondo.

Cosa fare in concreto? Dipende dall’età del ragazzo/a. Per un sedicenne le indicazioni sono naturalmente molto diverse rispetto a quelle opportune per un bambino di 8 o 10 anni. Il testo presenta una gamma molto dettagliata di interventi, ma in linea generale si possono tenere presenti due punti: fissare obiettivi raggiungibili, da raggiungere gradualmente, e scegliere la strada della flessibilità. In sostanza – e questo vale per i ragazzi di ogni età – occorre mettere da parte la “mentalità fissa”, secondo cui esistono aspetti consolidati e immutabili, e aprirsi alle opportunità della cosiddetta “mentalità di crescita” che considera la possibilità di cambiare e migliorare le nostre qualità attraverso i nostri sforzi. Talvolta possono essere i genitori o gli insegnanti ad avere una “mentalità fissa”, talvolta figli. E lo stesso può succedere per la “mentalità di crescita”. Tutti questi scenari richiedono un approccio diverso, pazienza e intuizione per intervenire nel modo più opportuno. E anche per capire quando si può fare da soli e quando occorre un aiuto professionale (psicologo, neuropsichiatra infantile, ecc). In entrambi i casi, sostiene l’esperta, è possibile trovare una via d’uscita e offrire ai ragazzi lo spunto vincente per ritrovare la motivazione giusta. Senza fretta, senza urlare, senza arrabbiarsi.

Client

Di Luciano Moia, da Avvenire (venerdì 8 marzo 2024)

Date

16 Marzo 2024

Tags

Educare

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