Raccontiamo la 2^ puntata della storia della Cerioli in prima persona. Ci muove la convinzione che i santi sono coloro che si sono appropriati della bellezza della fede e della buona qualità della vita. È questa la bella notizia che ogni giorno vorremmo di nuovo ascoltare e comunicare alle giovani generazioni che ci sono affidate.
Nacqui il 28 gennaio del 1816 in questo antico borgo di Soncino. Mi accolsero alla vita nebbia, freddo e neve. Tuttavia nel mio Palazzo le tenere braccia di mia madre, la contessa Francesca Corniani, e di mio padre il conte Francesco Domenico - nobili provenienti da Orzinuovi - mi riscaldarono con il loro affetto e la loro premura. Appena nata respiravo con affanno, dando segni visibili di sofferenza: la diagnosi medica parlava di un grave scompenso cardiaco. Per questo motivo mio padre ritenne opportuno farmi battezzare tra le mura di casa; il 2 febbraio venni battezzata in Chiesa. Il battesimo fu semplice, con gli sguardi fissi su me, piccola figlia che stavo lottando per la vita. Imparai ben presto ad accoglierla come un prezioso dono. Mi chiamarono con il duplice nome di Costanza e di Onorata: e poiché ogni nome porta impresso un destino anche io fui ‘costante’ e ‘onorata’. Fui costante e tenace nella vita e nella relazione con Gaetano, mio marito; nella ricerca di Dio e nella realizzazione della mia maternità anche quando ‘persi’ tutti i figli. Fui onorata e stimata dalle amiche, poi dai poveri e ancora oggi dalla gente. Quando iniziai la piccola fraternità con giovani donne e uomini raccomandai loro di fare tutto ‘a maggior gloria e onore di Dio’, come avevo appreso da Ignazio di Loyola, mio maestro, e di ‘passare sopra’ ad equivoci e incomprensioni. La mia famiglia era molto numerosa: io ero l’ultima di 16 fratelli, solo 6 dei quali, quando nacqui, erano ancora viventi. La loro presenza mi aveva fatto capire che ciascuno arricchiva l’altro e tutti insieme potevamo fare una bella orchestra! Sono nata e vissuta in un sontuoso palazzo, tra mura e suppellettili preziose, dove le feste erano abituali e dove il cibo non mancava mai. Pur appartenendo alla nobiltà cittadina, mia madre non rifiutava mai un pezzo di pane o un vestito ai poveri e alle operaie della filanda che, quotidianamente, bussavano alla porta del palazzo. Addirittura andava a trovarli nelle loro povere abitazioni portandomi con sé. Per questo motivo chiamavano mia madre ‘madre dei poveri’. Fu lei che con i suoi gesti di attenzione e di cura per gli orfani mi insegnò a considerare la vita come una ‘tenera provvidenza’ e a ricambiare tanto affetto del cielo attraverso mani che accarezzano, cuore che si dona e occhi che si aprono sui bambini poveri, soprattutto quelli orfani, che non avevano un papà da ‘ammirare’ e una mamma che teneramente li custodisse e li accudisse. Davanti a tanta miseria mi commuovevo, domandandomi spesso: ‘Perché nel mondo c’è tanta ingiustizia? E Dio dov’è se ci sono i bambini orfani, se ci sono i poveri?’ Le domande non trovavano risposte immediate, ma intanto alimentavano in me il desiderio di cambiare il mondo nelle sue ingiustizie e di renderlo più abitabile per tutti.