Forte della propria esperienza di psicologo e psicoterapeuta, nel suo ultimo libro Matteo Lancini [1] delinea il ritratto più aggiornato di giovani e giovanissimi, sfatando molti luoghi comuni e indicando agli adulti la strada da percorrere per svolgere al meglio il proprio ruolo e per smettere di guardare gli adolescenti, ma anche i bambini che sono stati, senza vederli.
La lettura, scorrevole e piacevole, invita a superare un atteggiamento accusatorio e giudicante per arrivare a includere noi adulti nel processo di strutturazione della personalità dei nuovi adolescenti. Invita a passare da interventi basati su modalità riflessiologiche (stimolo e subito risposta) a interventi caratterizzati da riflessioni nuove e da un pensiero che osserva, guarda, capisce prima di agire. Invita soprattutto ad incontrare i ragazzi senza utilizzare come unico modello rigido di comprensione la nostra adolescenza, che è stata un’altra adolescenza perché preparata in contesti famigliari e sociali diversi.
Tra tanti pensieri emersi dalla lettura una domanda vi propongo e insieme una riflessione: quali contesti famigliari ed educativi oggi noi adulti stiamo tessendo per i nostri bambini/ragazzi durante il percorso della loro crescita? In effetti la trama famigliare e sociale oggi è cambiata rispetto alle generazioni passate: durante il periodo dell’infanzia quella di tipo normativo-paterna, che promuoveva una sottomissione (già questa parola fa sgranare oggi gli occhi ai più!) nei riguardi delle figure adulte più significative, genitori e insegnanti, ha lasciato il posto a quella affettivo-relazionale, caratterizzata dall’espressione di sè, dalle spiegazioni delle cose, dalla sottolineatura dell’immagine e dall’assenza anche di una asimmetria educativa.
Nulla di male. All’adolescente di oggi è stato insegnato sin da piccolo, da sua mamma e da suo papà, a ricercare esperienze in cui esprimere se stesso, senza sottomettersi ad alcuna figura non realmente interessata ad avvicinare risorse affettivo-relazionali e competenze utili allo sviluppo personale e alla propria crescita nel mondo. Così l’attuale adolescente si è mosso lungo tutta la prima decade... poi arriva appunto l’adolescenza in cui è considerato né carne né pesce, immaturo dal punto di vista dello sviluppo (prima non lo erano?), sregolato ed esagerato, con poche regole e capacità di regolazione, irrequieto e nervoso, trasgressivo e fuori limite, e gli adulti gli propongono un cambio di rotta, spostando sull’asse normativo il loro intervento, proprio quando le risorse di creatività, espressività e la spinta alla realizzazione di sé (sostenute da bambini) divengono ancora più importanti nella sua vita. C’è da chiedersi il perché della tendenza inconsapevole a modellare la crescita dei figli secondo le proprie esigenze e attese genitoriali, ma anche di quelle provenienti dai diversi ordini scolastici e sociali, che promuove trame affettive e relazionali, per poi irrigidirsi su aspetti valoriali e normativi con l’arrivo dell’adolescenza e l’ingresso nella scuola secondaria, soprattutto di secondo grado. Una sorta di addestramento infantile, sostenuto dal desiderio di godersi l’espressività e l’intenzionalità del pargolo, con il quale costruire una trama profonda di condivisione affettiva e di meraviglia di fronte alle avventure esplorative quotidiane, che si trasforma in un tentativo di addomesticamento in adolescenza, allorquando sarebbe più gradita l’obbedienza al volere e ai valori adulti. Le straordinarie esperienze affettive, relazionali, di vicinanza e di comprensione reciproca ricercate e proposte nell’infanzia familiare e scolastica diventano richieste di sottomissione alla norma e all’autorità adulta, alle quali genuflettersi, perché è così che deve essere ed è giusto che sia. Non si può avere tutto dalla vita: figli vicini, comprensivi e affettuosi durante l’infanzia, ma anche normati in adolescenza. Gli adolescenti sono nati e cresciuti in famiglie organizzate secondo un’etica affettiva e relazionale, non normativa. Si tratta di un aspetto che non andrebbe dimenticato.
Usciti dall’infanzia assecondando queste intenzioni materne e paterne, gli adolescenti odierni sono profondamente convinti che la sottomissione non si adatti al proprio funzionamento affettivo e psichico, ma questo non vuol dire che non siano alla ricerca di relazioni significative con gli adulti. Anzi, i ragazzi e le ragazze effettuano ricognizioni giornaliere, esplorano quotidianamente l’ambiente circostante per individuare tra i propri adulti di riferimento qualcuno in grado di offrire loro uno sguardo di ritorno valorizzante e offerte educative, formative, di sostegno alla realizzazione dei propri compiti di sviluppo, identificate con i propri bisogni, timori e conflitti evolutivi; quando finalmente trovano ascolto e rispecchiamento, sono disposti a dare credito al proprio interlocutore, come nessuna generazione di giovani aveva fatto in precedenza.
Se i ragazzi del passato si sottomettevano al genitore/insegnante perché rappresentante simbolico dell’autorità paterna, ma non esitavano ad augurargli atroci sofferenze, oggi quando un adolescente asseconda l’offerta educativa e formativa proveniente da genitore/docente, lo fa in una modalità del tutto diversa da quella del passato. Si segue un adulto di riferimento non per necessità culturali né per compiacenza, ma perché la competenza umana, relazionale e professionale dell’adulto si salda con le sue autentiche esigenze di crescita. Da quel momento, la ragazza o il ragazzo sarà sinceramente riconoscente, grato, in considerazione della funzione svolta dal proprio adulto di riferimento. Un’esperienza di crescita della quale serberà un ricordo indelebile, così come dell’adulto che l’ha proposta, diventato inevitabilmente modello d’identificazione per il ragazzo.
Quindi oggi l’adolescente (ma direi anche il pre-adolescente) si pone di fronte a noi adulti non con la riverente sottomissione alle nostre regole come noi vorremmo (intendiamoci, le regole servono sempre, ma non è questo il solo livello per un incontro trasformativo), ma cercando una proposta di una relazione autentica, appassionata, mai seduttiva o parificata, ma autorevolmente e teneramente sintonizzata con le sue ragioni evolutive: solo questa sintonizzazione può consentire all’adolescente di fidarsi e affidarsi a un genitore, a un insegnante, diventato per lui modello di identificazione credibile.
Tanti sono gli sguardi nuovi sugli adolescenti che l’autore propone al lettore e meriterebbero più di questa pagina per essere visti. Penso quindi di lasciarvi con l’invito a concedervi la lettura di testi come questo per allenare e arricchire la nostra capacità di riflessione, di pensiero e di consapevolezza sui bambini e ragazzi che stiamo crescendo.
[1] Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, è presidente della fondazione Minotauro di Milano. Insegna presso il dipartimento di Psicologia dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca e presso la facoltà di Scienze della formazione dell’Università Cattolica di Milano. Nelle nostre edizioni ha pubblicato Giovane adulto (con F. Madeddu, 2014) e L’adolescente (con L. Cirillo, T. Scodeggio, T. Zanella, 2020) e ha curato Il ritiro sociale negli adolescenti (2019).