Ci siamo sentiti rivolgere spesso la domanda: «Chi è e che cosa ha fatto santa Paola Elisabetta, vostra fondatrice?» insieme a quell’altra più profonda di chi vede educatori e insegnanti muoversi tra i ragazzi: «Qual è lo stile educativo e la pedagogia concreta della santa?». E da parte degli adolescenti: «Quale mondo ha sognato santa Paola per le ragazze e i ragazzi che ha raccolto intorno a sé?»
Ogni tempo sente la necessità di raccontare storie, la storia di figure esemplari per ridire il senso dell’umana ricerca, e quindi il bisogno di scorgere le tracce di Dio nella storia.
Qui vogliamo raccontare la storia di una donna illustre. Illustre solo perché ha vissuto bene la sua vita quotidiana e ha immaginato un futuro nuovo, diverso, dove ogni figlio potesse avere una casa, una famiglia.
A partire dalla biografia storica della Cerioli ad opera di don Goffredo Zanchi abbiamo chiesto al prof. Marco Gamba, docente di Lettere della Scuola Sacra Famiglia di Martinengo, di ri-scrivere il libro, farne un riassunto e ri-narrarlo, condividendolo con i suoi ragazzi in classe per lasciarsi interpellare anche dalle loro provocazioni. È un modo bello per lasciarci affascinare di nuovo da una grande madre ed educatrice. Al prof. Marco il nostro grazie per avere accolto questa nostra sfida.
CAPITOLO 1 - Nei cambiamenti di un’epoca, storia di una donna
Prima di avventurarci nel ripercorrere le tappe salienti della vita di santa Paola Elisabetta Cerioli, è necessario cercare di ancorarla o di “connetterla”, per dirla in termini più contemporanei, all’epoca storica entro la quale ella si trovò a vivere; lo scopo di questa “introduzione” è presto detto: non si può capire per intero e fino in fondo la vita di una persona senza conoscere l’ambiente in cui è cresciuta, ha amato, sofferto, scelto e operato. E questo, caro ragazzo e cara ragazza, è vero per me e per te come per qualsiasi personaggio del passato, santi compresi. Sì, perché, ed è bene chiarirlo prima ancora di cominciare, i santi sono uomini e donne esattamente come noi. Costanza Cerioli è vissuta tra Cremona e Bergamo, tra il 1816 e il 1865 ed è dunque a questa porzione di XIX secolo che cercheremo di dare una rapida occhiata.
Innanzitutto ricordiamo che l’Ottocento è stato preceduto dal Settecento. Una banalità?! Messa così, può sembrarlo, ma non lo è affatto: voglio piuttosto sottolineare che sarebbe impossibile capire la società e la cultura europee del tempo della Cerioli senza tener conto che in esso sono maturate spinte, idee e processi iniziati proprio nel XVIII secolo, in quel “secolo dei lumi” che, sulla spinta della fiducia totale nella ragione umana, ha generato vere e proprie rivoluzioni, tra cui, come noto, quella francese e quella industriale.
Al motto di “libertà, uguaglianza e fraternità” i francesi hanno sparso a piene mani, pur fra mille contraddizioni, quel desiderio di indipendenza che dagli anni ’20 dell’Ottocento ha fatto da “carburante” al nostro Risorgimento, il processo che ha portato all’Unità d’Italia (e che culminò nel 1861, anno in cui santa Paola Elisabetta diede vita al ramo maschile della Sacra Famiglia). Insomma, la Cerioli è stata contemporanea di personaggi come Garibaldi, Vittorio Emanuele II e Cavour che, come dice la celebre frase attribuita a quest’ultimo (“Libera Chiesa in libero Stato”), sancirono anche il distacco fra lo Stato laico e la Chiesa cattolica, con la quale i rapporti saranno quantomeno “turbolenti” almeno fino alla prima metà del Novecento.
Quanto poi all’altra rivoluzione, quella industriale, essa provocò cambiamenti sociali profondissimi. L’industria moderna, anzi l’idea stessa di fabbrica che ciascuno di noi ha in mente, nacque proprio allora e spinse ben presto masse enormi di contadini poveri ad abbandonare le campagne per cercare “fortuna” come operai. I miraggi e le promesse di una vita migliore attiravano allora come oggi, ma la realtà è spesso diversa dal sogno: orari massacranti, salari da fame, condizioni igieniche per noi inimmaginabili e nessun diritto (neppure quello di ammalarsi!) sono ciò che si trovarono davanti questi disperati, tutti, grandi e piccoli, visto che la scuola, che spesso ci fa sbuffare e della quale diciamo “peste e corna”, era ben lontana dall’essere un diritto e già a cinque o sei anni si era considerati “abili” al lavoro.
Può sembrarci strano che lo Stato non intervenisse a difendere operai e contadini, soprattutto i bambini, ma a ben pensarci, perché avrebbe dovuto? Esso era di fatto in mano alla borghesia padronale che si curava dei propri guadagni, non certo di chi lavorava. Ben presto, gli operai si organizzarono e nacquero i primi movimenti socialisti a lottare per loro, ma in modo piuttosto radicale: abbattere la proprietà privata ed estirpare la religione erano solo due dei loro propositi.
E la Chiesa? Essa propose una “terza via”, più “evangelica” e alternativa sia all’egoismo dei proprietari sia al socialismo ateo e rivoluzionario. Le opere di carità verso i poveri erano sempre state parte della sua azione, ma in quegli anni, di fronte a questi cambiamenti così rapidi ed enormi, nacque, soprattutto nel Nord Italia, una vera e propria rete di associazioni ed organizzazioni per l’assistenza ai poveri.
A noi che siamo così attenti alla parità di genere suonerà strano, ma fra le varie congregazioni caritative che nacquero circa duecento anni fa, la maggior parte fu femminile e molte scelsero di occuparsi dell’assistenza e dell’istruzione dei più giovani. La diocesi di Bergamo fu tra le più attive in questo impegno di solidarietà ed è proprio in questo contesto che vide la luce anche la Congregazione della Sacra Famiglia che si distingueva in particolare per la scelta di essere vicina ai più giovani e poveri (contadini e soprattutto orfani), ma anche, pochi lo sapranno, per essere stata tra le prime in Italia ad avviare un ricovero (dapprima solo femminile) con annessa scuola agraria, con l’intento di immaginare un futuro possibile per chi non aveva ricevuto dalla vita la possibilità di avere una casa, di abitare una famiglia.