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228. ARTE DI EDUCARE. Ma cosa sta succedendo ai nostri ragazzi?

228. ARTE DI EDUCARE. Ma cosa sta succedendo ai nostri ragazzi?

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Buongiorno dottore,

ultimamente ho sentito notizie relative al disagio sempre in aumento degli adolescenti. Ma cosa sta succedendo ai nostri ragazzi?

Un papà

 

Caro papà,

purtoppo la situazione è allarmante ed è bene che venga conosciuta. Non ci possiamo voltare dall’altra parte per non vedere. Dopo la pandemia, e a causa di tutto ciò che è accaduto, i ragazzi dagli 11 ai 18 anni hanno alzato il livello di disagio e sofferenza, basato su una debolezza identitaria di fondo. Le indagini epidemiologiche evidenziano un aumento del 100% dei ricoveri in reparti ospedalieri in seguito a discontrolli emotivi, comportamenti di forte autolesionismo, tentati suicidi, disturbi del comportamento alimentare e altre forme di sofferenza psichica.

Che risposte educative possiamo dare per prevenire tale debolezza nella strutturazione delle identità dei ragazzi? Un aspetto potrebbe essere quello che riguarda una riflessione sulla priorità di favorire un’educazione al fallimento, aiutandoli a tollerare la delusione per ciò che non è stato e sostenerli nella riorganizzazione della speranza di un futuro possibile. Troppa negazione e protezione dagli insuccessi cresce ragazzi deboli e non capaci di affrontare la vita. Per farlo è però necessario partire da noi adulti, dalla capacità genitoriale di accettare i fallimenti che la crescita di un figlio inevitabilmente comporta, così come dall’attitudine dei docenti a puntare di più sulla relazione piuttosto che sulla sanzione, il voto, la bocciatura.

Frustrazione e mortificazione non educano al fallimento, non fortificano, né rendono più consapevole dei propri limiti l’adolescente odierno. Rappresentazioni sul proprio corpo, paure, brutti pensieri, successi ma anche insuccessi, fallimenti e dolori possono trovare lo spazio per essere espressi, vissuti e integrati nella propria identità adolescenziale? Dobbiamo chiedercelo!

Per i nostri ragazzi ci sono le condizioni per parlare di sé, di ciò che più profondamente e autenticamente preoccupa oppure è meglio che stiano zitti, per proteggere noi genitori/insegnanti forse troppo fragili per tollerare le loro delusioni, crisi e drammi evolutivi?

Prendiamo il tema del suicidio: di fronte alla tristezza del figlio, può essere affrontato direttamente, senza alcun timore. Tranquilli… Nessun rischio di istigazione! È un argomento talmente devastante da essere negato e rimosso dagli adulti, ma così all’ordine del giorno, nel momento del passaggio adolescenziale, da meritare una maggiore attenzione da parte di chiunque svolga una funzione affettiva ed educativa. Oggi il dolore, il fallimento e l’inciampo sono rimossi da una società iperideale che chiede ai figli di non soffrire perché si soffre troppo, come genitori e insegnanti, per la loro sofferenza.
Come narriamo la morte? La morte è spettacolarizzata dai mass media ma eliminata dalla vita quotidiana, lasciata all’esplorazione solitaria degli adolescenti in internet oppure applaudita all’uscita del feretro dalla chiesa, in un disperato tentativo di rendere tutto pubblico, ostentato, social. Applausi che spettacolarizzano l’evento e creano rumore per non sentire il dolore, per lenirlo e non accoglierlo, per sfuggire alla necessità di dare senso alla morte, ascoltandola e accettandola come parte della vita. Una riflessione sul dolore e i dolori dei ragazzi oggi è rimosso dalle aule scolastiche, dall’educazione. Non credo sia una buona operazione per i nostri figli e studenti. Conviene accettarlo, integrarlo e dare la possibilità ai ragazzi e alle ragazze di parlarne.

Così come conviene soffermarsi meno sui limiti e le regole che rendono felici, per impegnarsi, piuttosto, ad accettare e accogliere i propri ragazzi per quello che sono. Scovare ciò che piace di un ragazzo o di una ragazza adolescente e riuscire a comunicarglielo. Amare i figli per quello che sono è un compito impossibile, ma conviene impegnarsi a individuare le originali peculiarità di un soggetto che è comunque diventato altro da sé e che merita, oltre ad averne un grande bisogno, uno sguardo curioso e non solo giudicante, capace di sorprendersi di fronte alla seconda nascita che sta avvenendo.

Lascio a lei ora la continuazione di questi pensieri e grazie per lo stimolo che mi ha dato.

Buona riflessione!

Client

dott. Mauro Ambrosini, psicologo scolastico

Date

15 Aprile 2023

Tags

Educare

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