Cari ragazzi, riprendiamo il nostro racconto relativo alla vita della fondatrice della Congregazione della Sacra Famiglia esattamente da dove lo avevamo interrotto: dopo aver visto nascere, tra non poche difficoltà, le case di Villacampagna prima e di Soncino poi, l’opera iniziata da suor Paola Elisabetta non si arresta, anzi sembra farsi quasi frenetica, tanto che già nel 1862, mentre la Madre era ancora impegnata a Villacampagna, si comincia a pensare di stabilire un’altra comunità di religiose a Leffe, ancora oggi, come probabilmente sapete, importante centro della bergamasca Val Gandino. Certamente si trattava di un contesto ben diverso rispetto a quello in cui erano nate le case precedenti, tutte in pianura: qui siamo in “media montagna”, “lontano” dalle realtà che la Cerioli ben conosceva.
Come si arriva dunque a questa scelta? Beh, come immaginate, le contadine orfane non erano numerose solo in pianura, ma abbondavano anche nelle valli e fortunatamente anche lassù vi erano persone attente alla loro condizione; fra di esse c’era anche Adelaide Dedei (futura religiosa) che, residente per l’appunto a Leffe ed erede di un patrimonio assai consistente, decise di metterlo a disposizione della Sacra Famiglia, di cui aveva sentito parlare. Per la verità, all’inizio, la casa sembrò alla Cerioli più adatta ad ospitare il progetto che già aveva in animo di un istituto maschile, ma i tempi non erano evidentemente ancora maturi (anche se mancava davvero pochissimo e la Cerioli era già impegnata con mons. Valsecchi a stendere le regole per i futuri Figli di san Giuseppe), perciò si decise di vendere la casa della Dedei per acquistare col ricavato palazzo Mosconi, sempre a Leffe, ma ritenuto più adatto per una comunità femminile.
Come già successo per le case precedentemente acquisite dalla Congregazione, anche questo edificio aveva bisogno di riparazioni (e di mobili, dato che ne era privo), ma si pensò subito a come impiegarlo: inaugurata il 29 settembre 1863, in autunno la casa era già funzionante e prometteva molto bene, visto che le prime iniziative (come l’oratorio festivo) furono accolte con entusiasmo dalla popolazione.
Non staremo qui ad elencare ad una ad una le religiose che si alternarono in quei primi anni nella nuova comunità… basti sapere che probabilmente essa comprendeva venticinque-trenta persone: tre religiose (almeno all’inizio), quattro novizie, alcune Figlie di san Giuseppe adulte e un numero non meglio precisato di orfane.
Quanto alla cura che la Cerioli ebbe per questa comunità, non vi sorprenderà ormai sapere che essa si rivelò premurosa e materna come quella riservata alle altre: non solo si teneva costantemente informata sulla vita quotidiana tramite le lettere scambiate con le superiore che aveva scelto, ma vi si recò più volte in visita fino all’ottobre 1865 (un paio di mesi prima di morire).
Negli scritti inviati a Leffe, la Fondatrice, come ogni buona madre, dispensava consigli e anche qualche rimprovero e correzione, se necessario; a questo proposito, mi sembra importante averne presente uno su tutti: lei voleva che il clima nelle sue case fosse all’insegna dell’ilarità e della contentezza. Questa “leggerezza” non va scambiata con stupido ottimismo né con l’atteggiamento di chi, venendo meno al proprio dovere educativo, chiude gli occhi di fronte agli errori o alle mancanze; esso nasceva, invece, dalla certezza radicata di poter confidare sempre e comunque nell’amore paterno di Dio che guida e protegge sempre i propri figli!
Evitare in ogni modo l’instaurarsi di un clima troppo pesante, dunque: da qui le raccomandazioni della Madre di non eccedere mai nei rimproveri, pur necessari, cedendo alla violenza fisica (ahimè tanto utilizzata all’epoca) o verbale e l’insistenza affinché alle ragazze (e alle suore più giovani) fosse concesso più tempo per la ricreazione e per il gioco (e vi posso assicurare che permettere a delle suore di giocare e saltare era tutt’altro che abituale in quell’epoca!).
Ovviamente però, tra i pensieri della Cerioli cica la nuova “famiglia” appena nata vi erano anche la scuola e il lavoro.
Per quanto riguarda la prima, l’impostazione era simile a quella già vista in precedenza ed anche in questo caso non mancarono i problemi: non solo si avvertiva chiaramente la necessità di avere maestre abilitate (“patentate” si diceva all’epoca) ad esercitare il loro ruolo, ma ancora una volta ci si mise un ispettore scolastico a complicare la situazione. Da scrupoloso funzionario statale, egli ebbe molte domande da fare durante le sue ispezioni e, non contento di quanto aveva sentito, pretese di parlare direttamente con suor Paola Elisabetta. Da quanto sappiamo, i colloqui fra i due non furono precisamente “cordiali”, ma alla fine le cose si sistemarono: grazie alla pazienza e prudenza della Madre, l’ispettore ottenne tutte le verifiche che voleva e che la legge gli consentiva di pretendere e pare anzi che, in seguito, egli sia diventato un acceso sostenitore dell’opera della Sacra Famiglia (“meglio tardi che ma” potremmo dire!).
Quanto al lavoro, invece, furono introdotte alcune differenze rispetto a quello svolto in pianura: ridotti i lavori in campagna al solo orto e all’allevamento dei bachi da seta (molto praticato in Val Gandino), a Leffe fu introdotta la novità della lavorazione della lana.
Insomma, ragazzi, come avete potuto leggere, l’opera iniziata dalla Cerioli, moltiplicata dalla Provvidenza Divina, continuava a crescere e a diffondere carità, bene gratuito e disinteressato; mentre vi do appuntamento alla prossima tappa, però, vi anticipo che ancora non è finita! Alla prossima.