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169. STORIA DELLA CERIOLI. Le prime realizzazioni del progetto

169. STORIA DELLA CERIOLI. Le prime realizzazioni del progetto

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Rieccoci, cari ragazzi; siamo pronti per riprendere il racconto della vita ordinaria e insieme straordinaria di Costanza Cerioli. Se ricordate, l’avevamo lasciata alla conclusione del suo cosiddetto “anno di prova”, quel periodo che doveva servire prima di tutto a lei, oltre che alle autorità della Chiesa di Bergamo che la stavano accompagnando, per verificare che la strada che si avviava a percorrere con quella che sarebbe diventata la nuova Congregazione della Sacra Famiglia, fosse davvero ciò cui lei (e le compagne che a lei si sarebbero unite) intendeva dedicare il resto della propria vita.

Una consacrazione religiosa presenta oggi come allora diversi step, momenti di conferma prima di arrivare alla cosiddetta “professione solenne”, quando appunto vengono pronunciati (professati) davanti a Dio e alla Chiesa i voti, cioè l’impegno di vivere secondo i “consigli evangelici” di povertà, castità e obbedienza in una certa famiglia religiosa, proprio per imitare più intensamente Gesù. Ma diffonderci qui sui diversi passaggi che segnarono questo percorso per la Cerioli non sarebbe molto opportuno; vi basti sapere che se si va in cerca di un “inizio ufficiale” di questa nuova fase della sua vita, esso può essere ravvisato nella vestizione dell’8 dicembre 1857. A nessuno di voi sfuggirà che l’8 dicembre non è neppure oggi una data qualunque, visto che è tra le festività religiose che ancora portano con sé una vacanza scolastica; in effetti, la scelta della solennità dell’Immacolata non fu una scelta casuale: Costanza sceglieva di mettere sé stessa e la Congregazione (che quel giorno assumeva ufficialmente il nome che ha ancora oggi) sotto la protezione di Maria santissima. «Vestizione», dunque; ma che significa questo gesto nell’ambito religioso? Beh, forse lo avrete già capito: si tratta del momento in cui si indossa l’abito, la “divisa” propria di un ordine religioso; il gesto ovviamente è molto simbolico: si mostra con esso la scelta di abbracciare un diverso “stile” di vita, quello stabilito dal carisma della famiglia religiosa di cui si entra a far parte. Se vogliamo concederci un “gossip” modaiolo, vi posso anche dire che l’abito scelto da Costanza (poi più volte rivisitato) per sé e per le sue suore era così stravagante che pare suscitasse qualche risata tra coloro che lo vedevano; l’intento ovviamente non era quello di far ridere, ma di indossare qualcosa di così semplice e umile da allontanare qualsiasi vanità da parte delle suore, ma tant’è: pare che avesse un po’ esagerato…

Non fu però solo l’abito a cambiare; vi siete mai chiesti quando Costanza cambiò il suo nome in Paola Elisabetta e perché scelse proprio questi due nomi? Alla prima domanda possiamo dare una risposta certa: l’assunzione del nuovo nome avvenne il 23 gennaio 1858; ma sulla scelta del nuovo nome non vi sono certezze: c’è chi lo associa a due sante (Paola Romana ed Elisabetta d’Ungheria) e chi a due zie della Cerioli; ma sono ipotesi…dovremo tenerci il dubbio… Esattamente un anno dopo, le sue prime compagne Luigia Corti, Rosa Masoni, Adelaide Carsana, Maria Passera e Leonilde Valsecchi emisero i voti semplici; i primi anni furono segnati da ingressi nuovi e non solo perché la Cerioli, spinta dalla necessità di prendersi cura anche delle ragazze accolte  dall’Istituto che, cresciute, non si trovavano nella condizione di uscirne per inserirsi nel mondo, istituì Le Figlie Anziane di San Giuseppe a cui affidare i lavori di casa e simili; non si trattava però donne di “serie b” da sfruttare come serve delle suore, ma “un altro corpo nella stessa Casa”, per richiamare un’espressione della Madre. E così prendeva forma l’Istituto della Sacra Famiglia che, nel giro di pochi anni, alla fine del 1861, contava già 18 religiose (tra professe temporanee e novizie, ovvero giovani donne che attendevano di entrare nella famiglia religiosa) e ben 33 orfane assistite! È a questo punto, probabilmente, che suor Paola Elisabetta pensò di aprire una seconda casa a Villacampagna, frazione di Soncino (CR).

A questo punto, cari ragazzi, lasciate che scomodi il cantautore Francesco De Gregori… Che c’entra?! Niente, ma abbiate un attimo di pazienza! Nel 2010 egli scrisse una canzone il cui testo inizia affermando che “La storia siamo noi” ed è proprio così: noi tutti la costruiamo nel nostro piccolo e anche le nostre vicende personali si svolgono sullo sfondo della storia con la maiuscola, quella che finisce sui libri di storia. Anche per la Cerioli fu così: gli anni a ridosso dell’unità d’Italia (1861) sono quelli del nostro Risorgimento e sono stati segnati da un rapporto complicato tra la Chiesa e il nuovo Stato nascente e, prima ancora, di scontri militari tra Piemontesi e Austriaci; veniamo così a sapere che la casa di Comonte accolse e curò alcuni feriti di questi ultimi e che suor Paola Elisabetta offrì rifugio al vescovo di Bergamo, mons. Speranza, i cui rapporti con i patrioti bergamaschi non erano precisamente sereni, anzi! E che dire poi degli ispettori scolastici inviati a verificare la “qualità” degli insegnamenti impartiti alla Figlie di san Giuseppe? Insomma, furono anni tormentati, ma almeno la Sacra Famiglia sfuggì, poiché ancora “neonata”, alle soppressioni di congregazioni religiose attuata dal Regno d’Italia che talora si dimostrò liberale più di nome che di fatto.

Ma visto che questa parte del racconto è dedicata alle prime realizzazioni, non possiamo non soffermarci sull’Orfanotrofio; l’aumento delle ragazze ospitate rese necessario costruire un nuovo edificio nei pressi del palazzo di Comonte; grazie anche a questo ampliamento, a fine 1861 le ragazze ospitate erano ben trentatré.

Ma qual era la “routine” quotidiana di questa famiglia che si allargava sempre più? Come più e più volte detto, l’occupazione principale di queste ragazze (in maggioranza di origine contadina, anche se sappiamo che in casi particolari erano accolte anche ragazze in situazioni difficili appartenenti ad altre classi sociali) era il lavoro dei campi, ma anche l’allevamento dei bachi da seta (molto diffuso e redditizio dalle nostre parti a quell’epoca) e successivamente la madre introdusse anche la sartoria, da praticarsi soprattutto nei mesi invernali, anche per guadagnare, attraverso la vendita di abiti, denaro che aiutasse la sopravvivenza dell’orfanotrofio.

Solo preghiera e lavoro, quindi? No. Le cronache ci raccontano anche di diversivi, come per esempio una gita a Villacampagna, dove sorgeva una grande villa che, ereditata dal padre, già era diventata, ve ne accennavo sopra, nei progetti di suor Paola Elisabetta un’opportunità per allargare la carità verso i ragazzi più poveri…ne riparleremo ben presto…

Ora, invece, per concludere questa panoramica sulle “prime realizzazioni”, non ci rimane che citare la stesura delle prime regole, a cui la Fondatrice si dedicò in quegli anni: ogni ordine religioso deve infatti, per poter vivere, darsi delle regole, dei principi che tutti coloro che vogliono appartenergli, devono accogliere.

Insomma, penso abbiate capito che gli anni che qui ho cercato di raccontarvi furono “frenetici”, ma soprattutto estremamente fecondi: la carità (l’amore gratuito, quello cristiano) si allargava, come fa sempre, a macchia d’olio. E non era che l’inizio! Alla prossima.

Client

prof. Marco Gamba, insegnante di Lettere

Date

17 Dicembre 2022

Tags

Cerioli

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