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156. STORIA DELLA CERIOLI. L’anno di prova

156. STORIA DELLA CERIOLI. L’anno di prova

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Cari ragazzi, riprendiamo le fila del nostro racconto della vita di santa Paola Elisabetta Cerioli esattamente da dove ci siamo interrotti nel capitolo precedente; il non breve tempo di ricerca di una strada da intraprendere sembrava finalmente essersi concluso con una scelta ben precisa: Costanza, dopo essersi guardata attorno invano in cerca di un ordine religioso che potesse non tanto accoglierla quanto darle modo di rispondere al suo fortissimo desiderio di dedicarsi ai più poveri tra i poveri (gli orfani delle famiglie contadine), scelse una via tutta in salita, cioè quella di fondare una nuova congregazione religiosa con caratteristiche originali.

Bene, potreste dire: “Ormai era fatta! La via era stata scelta, quindi non si trattava che di rimboccarsi le maniche e cominciare.” Le cose in realtà furono un po’ più complicate… Costanza, come certo ricorderete, proveniva da una famiglia molto agiata; anche se non era mai stata una donna frivola o vanitosa, aveva vissuto negli agi, aveva ricevuto un’educazione sopra la media per quell’epoca, era stata padrona di casa, moglie e madre… ebbene, credo proprio che possiate immaginare senza troppa fatica che la svolta che intendeva imprimere alla propria vita era talmente radicale da far tremare i polsi, come si suol dire… Vedete, cari ragazzi, oggi come allora donare la propria vita e la propria libertà a Dio e ai fratelli è una scelta veramente importante, anzi direi decisiva, radicale! Costanza avrebbe potuto fare moltissime altre scelte, tutte buone, per dedicarsi agli altri: beneficenza, opere di carità, preghiere… Qui invece si trattava di offrire tutta la propria vita, tutta se stessa (non solo il conto in banca) a Dio e a un piccolo “esercito” di sorelle e fratelli senza famiglia che avrebbero avuto bisogno di tutto. Una scelta del genere non può che essere compiuta in piena libertà e perciò deve essere ben verificata prima di diventare definitiva. Sì, ho scritto definitiva! Noi purtroppo non siamo più molto abituati a considerare le scelte come definitive… chissà perché? Forse perché prendiamo un poco sul serio quel bene così prezioso che è l’unica vita che ci è data?! Forse… Ad ogni modo, verso la fine del 1856 Costanza si presentò al vescovo di Bergamo Luigi Speranza e gli chiese di provare per un anno a vivere da religiosa con le compagne che pian piano iniziavano ad unirsi a lei. Il vescovo approvò.

Ma come fu questo “anno di prova”? Beh, a giudicare dalle fonti che ce ne parlano, direi quantomeno intenso. Più intenso che mai fu prima di tutto il rapporto con Dio (sì perché, è bene ricordarcelo, è questa relazione di amicizia profonda che rende santi): in pochi mesi suor Paola Elisabetta pronunciò i voti di castità, ubbidienza e povertà... Già, il voto… mi chiedo se a ragazzi del nostro tempo sia chiaro di cosa stiamo parlando… Beh, nel caso non lo fosse, provo a spiegarvelo brevemente: si tratta di una promessa fatta liberamente a Dio e che vincola, obbliga per il resto della vita, ma il cui scopo non è condannarsi all’infelicità, ma  rendersi il più possibile liberi per amare gratuitamente, senza secondi fini… Una amore così è roba veramente forte, no?! E pensate che la Cerioli ne aggiunse un quarto, promettendo di cercare sempre, in ogni scelta e opera, “la maggior gloria di Dio” ed il bene della Congregazione. Ecco dunque, pronunciati i voti e tagliati i capelli come simbolo della rinuncia, Costanza era davvero diventata suor Paola Elisabetta, la Superiora della Congregazione che aveva fortemente voluto e soprattutto Madre, come voleva essere chiamata dalle “sue” orfane e come finirono per chiamarla anche le sue consorelle.

L’anno di prova fu anche un tempo utile per tornare sul progetto della Congregazione e meglio definirlo, perfezionarlo scrivendo due documenti considerati il suo “Manifesto” di vita religiosa: l’Impianto, dove esponeva in forma definitiva il suo progetto, e poi Istruzioni e Memorie. Tranquilli, ragazzi, non

intendo farvi qui il riassunto di questi due documenti, ma qualche parola per spiegarvi la loro importanza mi pare doverosa… Nel primo, per esempio, suor Paola Elisabetta mostrava tutta la sua generosità e coraggio esigendo da sé stessa e dalle religiose che volessero unirsi a lei scelte davvero radicali per vivere il Vangelo senza mezze misure o compromessi: le suore della Sacra Famiglia (questo, come sapete perfettamente, fu il nome che scelse) dovevano essere disposte ad andare in campagna per svolgervi qualche lavoro oppure ad accudire il bestiame o ancora a trasportare materiali necessari per le costruzioni. Insomma, attività davvero faticose, ma soprattutto decisamente inusuali per le religiose di quel tempo (e non solo…) Ma perché la Superiora obbligava se stessa e le altre suore a queste attività così umili? Per più di una ragione, direi, ma basterà forse rispondervi ricordando quanto già abbiamo detto nei capitoli precedenti di questo nostro racconto: tra gli scopi che lei si prefiggeva c’era quello di avviare le sue orfane alle attività contadine per reinserirle, una volta raggiunta l’età, proprio nell’ambiente da cui provenivano in modo che potessero, proprio in quel contesto, formare e guidare famiglie solide e, un po’ come il lievito che fa fermentare la pasta, potessero migliorare almeno un po’ le condizioni davvero difficili di quel mondo di campagna. E come avrebbero potuto le suore della Sacra Famiglia “istruire” le loro figlie senza essere a loro volta esperte delle novità introdotte dalle scienze agrarie e, soprattutto, senza dare l’esempio sporcandosi le mani in prima persona?! “Suore Contadine”: così verranno ben presto chiamate, in tono anche un po’ ironico, Costanza e le sue compagne.

Quanto poi a Istruzioni e Memorie, vi basti sapere che in questo scritto, la Cerioli parla in modo esplicito del suo progetto di affiancare all’Istituto che già accoglieva le Figlie di san Giuseppe (come lei chiamava le ragazze orfane che accoglieva) un altro che facesse lo stesso con i ragazzi.

 

Dovete sapere, giovani lettori, che ogni santo, anzi direi ogni cristiano ha un suo particolare carisma… No, non intendo un particolare charme o fascino, ma qualcosa di molto diverso: si tratta di un dono, una dote particolare data da Dio a quella persona affinché la metta a servizio di tutti. Che il carisma di santa Paola Elisabetta Cerioli fosse l’educazione è evidente, ma vale la pena di guardarlo più da vicino. Scrivendo della sua Congregazione e delle ragazze ospitate, lei le definisce “la mia nuova famiglia” e credo che questo sia davvero molto molto significativo: lei, madre rimasta senza famiglia, ne crea un’altra, una a cui si dedica proprio con le premure di una mamma: chiedeva alle sue religiose di amare le “povere figlie” per essere per loro la famiglia che non avevano più. E siccome era convinta che le madri non devono esserlo solo di nome, ma soprattutto coi fatti, ecco che fin dal loro arrivo in orfanotrofio, le ragazze erano lavate e rivestite con abiti puliti; ecco che la Madre raccomandava alle suore la condivisione del tempo con le orfane per creare un clima di fiducia e stabilire un rapporto educativo proficuo; ecco che ad un certo punto concesse alle sue consorelle di partecipare ai giochi delle ragazze (come del resto faceva lei stessa) per conquistare la loro confidenza… Insomma, le religiose della Sacra Famiglia dovevano mostrare un autentico cuore di madre. Ovviamente, come ogni mamma, suor Paola Elisabetta raccomandava di sorvegliare il comportamento delle ragazze e, quando necessario, di rimproverare e punire, ma senza mai umiliare: insomma, sottolineare l’errore senza far sentire “sbagliata” colei che lo aveva commesso. Sappiate anche, cari ragazzi, che fra le mancanze che la nostra santa sopportava meno c’erano la disubbidienza e la falsità.

Non è possibile qui neppure provare a riassumere tutto ciò che con cuore materno la Madre faceva per le sue ragazze accompagnandole anche dopo che, diciottenni, lasciavano l’orfanotrofio, ma credo abbiate capito con quanta passione se ne prendesse cura.

 

C’è piuttosto un’ultima domanda a cui voglio provare a dare risposta con voi: come? Come è stato possibile che una donna di origine benestante, in pieno Ottocento maschilista e benpensante, abbia trovato la forza di mettere in piedi un’opera come quella che stiamo cercando di conoscere? Dove ha preso la forza?

A ben pensarci, la vera domanda non dovrebbe essere “dove?”, ma “da chi?” e mi pare che la risposta stia nel nome stesso scelto da suor Paola Elisabetta per la sua Congregazione che mostra in modo chiarissimo quale fosse il modello a cui si ispirava: la Sacra Famiglia. Ciascuno dei membri di quella Famiglia particolarissima, ma allo stesso tempo normalissima era per lei un esempio a cui ispirarsi: da Maria, la Madonna, imparava cosa fosse l’umiltà vissuta attraverso l’accettazione silenziosa della fatica necessaria per i servizi quotidiani e da Giuseppe apprendeva la fedeltà alla missione di essere padre ricevuta da Dio; da entrambi, poi, imparava il silenzio, perché l’amore concreto non fa rumore.

Ma è soprattutto da Gesù che Costanza si lasciava ispirare, soprattutto dalla sua dolcezza, misericordia, umiltà, obbedienza e  povertà scelte e vissute fino in fondo, fino al dono della vita per un amore perfetto e disinteressato, gratuito.

 

Dunque, ragazzi, mi pare che anche per questo appuntamento possa bastare: di carne al fuoco ne abbiamo messa parecchia… Per certo, credo che sarete d’accordo con me se dico che in quell’ anno di prova che ho cercato di raccontarvi, erano già presenti segni, scelte e opere decisivi per la vita futura di suor Paola Elisabetta e della Congregazione della Sacra Famiglia. Alla prossima.

Client

prof. Marco Gamba, Docente di Lettere

Date

19 Novembre 2022

Tags

Cerioli

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