Cari ragazzi, riprendiamo la nostra narrazione della vita di santa Paola Elisabetta Cerioli da un momento davvero difficile della sua vita; la morte dell’adorato figlio Carlo avvenuta, se ricordate, il 16 gennaio 1854 a soli sedici anni e quella del marito Gaetano solo undici mesi dopo sconvolsero totalmente la vita di Costanza: il dolore profondissimo che provò possiamo solo immaginarlo, ma una cosa la sappiamo per certo: quella giovane donna non scivolò mai dalla sofferenza alla disperazione e ciò grazie alla consolazione che riuscì a darle il rapporto con il più intimo degli amici: Dio.
Dio?! Quello stesso che aveva permesso tutte quelle prove e sofferenze?! Quello che non aveva esaudito le preghiere di Costanza per il figlio e per il marito?! Ma come si fa a pensare di continuare anche solo a credere che esista un Dio così e che sia buono, che sia addirittura Amore?!
Forse qualcuno di voi si sta facendo queste domande; magari alcuni potrebbero pensare che simili dolori e prove dimostrano al contrario che non esiste proprio alcun Dio. Spero di non sconvolgere nessuno se rispondo che il ragionamento è sacrosanto: un dio così non esiste! Un dio che magicamente spazza via dal cammino della vita prove, sofferenze, malattie non esiste… e men che meno un dio che si diverte a farci soffrire inviandoci il male! Ma questo dio che non esiste non è il Dio di Gesù Cristo! Si tratta di un dio che ciascuno di noi crea con la propria fantasia: un dio-mago che ci protegga come uno scudo dalle avversità della vita, che con un colpo di bacchetta magica intervenga quando invocato per risolvere tutto per noi … insomma, cari ragazzi, a ben pensarci questa immagine di dio, purtroppo così diffusa anche tra i cristiani, è quella di un talismano, di un portafortuna; niente a che fare con il Dio rivelato da Gesù e in Gesù! Costanza, donna di grande fede già prima di diventare suora, aveva imparato, parlandoci nella preghiera, a conoscere questo Dio che guarda caso non rivela totalmente sé stesso nei miracoli di guarigione (che di solito hanno un significato che va un po’ più in profondità), ma accogliendo la dolorosissima e ingiusta morte sulla croce. Ma dopo la croce c’è la risurrezione! Dopo la morte c’è la vita eterna: neanche la sofferenza più grande, neanche la morte sono le parole definitive per chi crede in Dio Padre che certo non elimina dalla vita il male e il dolore, ma ci ama tanto da rimanerci accanto mentre lo attraversiamo fino in fondo, fino alla risurrezione. Ecco, Costanza, che certo con Dio avrà pianto, forse si sarà lamentata, avrà chiesto consolazione, ha sentito che Dio l’amava immensamente, che era con lei e lei gli ha permesso di consolarla.
E una scintilla di speranza, una goccia di consolazione, Costanza ha cominciato ad intuirla, è lei stessa a raccontarlo, proprio mentre stava vivendo il dolore per la morte di Carlo: certo ricorderete la frase che lui le disse mentre era malato (“Oh! il Signore ti darà altri figli”) e che la povera madre in quel momento non aveva compreso; ebbene, improvvisamente cominciò ad intuirne il senso… Come una scintilla accesa nel buio pesto, come un seme sotterrato da cui improvvisamente spunta un germoglio, sembra proprio che Costanza abbia intuito che in quella frase c’era la promessa per una rinascita, per un senso nuovo da dare alla sua vita; che quel dolore poteva non essere insensato; che dalla morte poteva rinascere la vita: questa, cari ragazzi, è veramente “roba da Dio”!
Le conseguenze di questa prima intuizione non si fecero attendere: già un mesetto dopo la morte di Carlo, Costanza pensò di fondare un orfanotrofio maschile che si occupasse di poveri contadini abbandonati e che si chiamasse (qualcuno di voi forse sorriderà) “Istituto Carlino”: lo scopo doveva essere quello di istruire i ragazzi per farne agricoltori esperti, capaci di condurre una fattoria. Per capire l’importanza di questo tipo di istruzione, così lontana dalla nostra, dovete ricordare che ai tempi l’agricoltura era la principale attività economica e tener presente che i contadini nella bergamasca vivevano davvero in condizioni misere! Rendere quei ragazzi capaci di svolgere con competenza il loro lavoro nel loro ambiente era fondamentale per garantire loro una vita dignitosa! E le ragazze? Tranquille, care lettrici, anche loro erano nei pensieri di Costanza, solo che i piani per la creazione di un orfanotrofio anche femminile poté avviarli solo quando, morto il marito, si trovò ad ereditare il suo patrimonio: quelle imprese, anche allora, erano costose! Insomma, sembra che i progetti di quella giovane donna consistessero nel donare tutti i suoi beni (e non erano pochi, come sappiamo!) a due orfanotrofi da affidare a due ordini religiosi già esistenti. E lei? Che ne sarebbe stato di lei? Beh, anche se ricevette almeno un’altra proposta di matrimonio, pare proprio che in cuor suo avesse già deciso di consacrarsi, di diventare suora. Inizia così un periodo di ricerca, un tempo in cui Costanza valuta la possibilità di entrare a far parte di qualche famiglia religiosa già esistente: le Canossiane? Le figlie del Sacro Cuore? Altro…? Per cercare di trovare una strada, di comprendere dove avrebbe potuto meglio rispondere a quella che sentiva essere la volontà di Dio sulla sua vita, fondamentali saranno ancora la preghiera (che non è “dire le preghiere”, ma dialogare con Dio) e l’accompagnamento di alcuni “maestri” con cui si confrontò e da cui ebbe consigli; in particolare, le fu vicino come padre spirituale monsignor Pietro Luigi Speranza (1801-1879), che lei aveva già conosciuto come rettore della scuola frequentata da Carlo ed ora divenuto vescovo di Bergamo.
È a questo punto che la strada pian piano si apre davanti a lei; di una cosa Costanza era sempre più sicura: suora o laica, la sua scelta fondamentale sarebbe stata a favore dei poveri, degli orfani più poveri; e aggiungerei che era già passata dalle parole ai fatti: già da qualche tempo pagava la retta di un orfanotrofio di città per una ragazzina e ben presto pensò di occuparsi anche di altre orfanelle; la retta degli istituti tuttavia era cara e fu così che, probabilmente ben consigliata, ebbe l’idea fondamentale, quella che iniziò davvero a segnare il resto della sua vita: decise di accogliere direttamente in casa sua le piccole Adele Maria Nembrini e Caterina Grasseni. Né si fermò lì: entro la fine di quell’anno, il 1855, le ragazze ospitate in casa divennero sette! Come potete immaginare, cari lettori, l’impresa era davvero impegnativa e prometteva di diventarlo sempre più, ecco perché ben presto la Cerioli ebbe bisogno dell’aiuto di figure come la giovane Luigia Corti che fu subito incaricata anche di occuparsi di fare da insegnante nella scuola di carità per le ragazze povere di Comonte e dintorni. Accoglienza degli orfani e istruzione ai più poveri: certamente possiamo già riconoscere qui i semi fondamentali che daranno vita, di lì a poco, alla Congregazione della Sacra Famiglia! Sì, amici miei, è proprio dal desiderio di rispondere in modo sempre più efficace ai tanti bisognosi di aiuto che vedeva attorno a sé che nascerà l’idea di fondare una nuova congregazione; Costanza era ormai convinta che in questa fosse la risposta da dare alla chiamata di Dio ad amare coi fatti e non a parole i fratelli e le sorelle, soprattutto i più bisognosi e in ciò la confermarono i consigli di mons. Speranza. Così, mentre altre giovani donne si univano a lei per servire, Costanza mostrava di voler stare accanto ai poveri vivendo lei stessa in modo sempre più “povero”, rinunciando a tutto ciò che non era davvero essenziale per la vita quotidiana, dal cibo ai vestiti (del suo guardaroba ne tenne solo due) suscitando un po’ di sconcerto fra la nobiltà locale che considerava quelle rinunce una follia… Non trovate curioso, ragazzi, che oggi come allora si ritenga una pazzia dedicare la vita ad aiutare chi ha bisogno e non che si permetta che tanti esseri umani vivano in miseria?! Ma che ci volete fare? Noi uomini siamo fatti così…
La nostra Cerioli intanto aveva compreso che solo una nuova congregazione, con una precisa organizzazione e una regola poteva rispondere davvero ai bisogni dei tanti poveri che popolavano le campagne e così elaborava e rielaborava il suo progetto che tra il 1855 e il 1856 cambiò più volte forma, ma in cui si potevano già riconoscere alcune idee chiarissime: la congregazione si sarebbe dedicata ai contadini; avrebbe accolto e istruito le orfane contadine in modo da prepararle adeguatamente alla vita adulta nella loro classe sociale; inoltre sarebbe stata aperta a svolgere anche altri servizi nei paesi di campagna per il bene sia materiale che spirituale dei contadini.
È su queste solide fondamenta che vedremo nascere la Sacra Famiglia. Ma questa, come si dice, è un’altra storia. Alla prossima.