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0131. LABORATORIO FORMATIVO - Riscoprire l’insegnamento: è ancora possibile?

0131. LABORATORIO FORMATIVO - Riscoprire l’insegnamento: è ancora possibile?

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Mi piace aprire questo nuovo anno scolastico con la presentazione di un bel libro che ho letto quest’estate attratta soprattutto dal titolo un po’ provocatorio: RISCOPRIRE L’INSEGNAMENTO. Quando un collega me l’ha regalato l’ho subito guardato con sospetto chiedendomi: «Ma davvero, dopo tanti anni che parliamo di apprendimento e di insegnamento, dopo che abbiamo cercato di approfondirne le radici e le declinazioni anche da diversi punti di vista, davvero è ancora possibile parlare di riscoperta di una pratica vecchia come il mondo?»

Invece, leggendolo, ho scoperto un grande autore che non conoscevo (GERT J. J. BIESTA) ed ho trovato che l’indagine sull’azione dell’insegnare può davvero essere la scoperta di un punto di vista originale, molto attuale, spesso poco considerato nella relazione educativa ma che vale la pena di rimettere al centro della riflessione sul fare scuola.

In un momento in cui molti mettono l’accento sul protagonismo dell’alunno enfatizzando non tanto l’azione dell’insegnare quanto quella dell’apprendere legata all’attivazione dell’alunno, l’Autore torna a sottolineare la centralità del ruolo dell’insegnante recuperando, alla maniera di don Milani, una professionalità docente chiamata a «cambiare le condizioni di esistenza degli studenti che incontra». Di tutti gli studenti, anche di quelli di cui si hanno elementi per credere che non siano capaci.

Del tutto fuori da una logica di educazione come controllo, Biesta, riferendosi a quanto sostenuto dal filosofo Levinas (secondo cui «la RESPONSABILITÀ è la struttura essenziale, primaria, fondamentale della soggettività»), assegna alla responsabilità dell’io il desiderio di «voler esistere nel mondo in modo adulto». E siccome la responsabilità, sempre secondo Levinas, non parte dal bisogno interno di sentirsi responsabili ma giunge sempre da una richiesta esterna (di attenzione, di cura, di interpello cui è necessario dare una risposta) ecco che il compito del docente è quello di INCONTRARE l’alunno per interpellarlo, per permettere a lui stesso di decidere e di credere nella possibilità di farcela per costruire il processo di significazione della realtà. L’incontro, che è un incontro prima di tutto di comunicazione, ha anzitutto un valore “etico” e coincide con l’appello che il docente fa all’interiorità dell’alunno (potremmo dire alla sua anima?) il quale viene riconosciuto come «soggetto capace di servirsi della propria intelligenza per apprendere». In questo modo «l’allievo non può sfuggire all’esercizio della propria libertà» assumendosi la responsabilità della possibile risposta.

Perciò l’insegnamento si connota come un’azione di DISSENSO del docente che si rivolge all’alunno esprimendogli la seguente dichiarazione: «Non credo proprio che tu alunno non sia in grado di rispondere al mio appello, anzi, so che la fiducia che io ripongo in te potrà metterti nella condizione di reagire».

Sottolinea Biesta: «L’insegnamento come dissenso (dissenso come rifiuto di accettare l’incompetenza dell’alunno) può essere visto come un modo per chiedere l’impossibile al bambino» intendendo per impossibile ciò che ancora non ci si può aspettare. In realtà la figura di insegnante che emerge sullo sfondo di un agire educativo inteso come tensione «tra ciò che è e ciò che non è» è una maestosa figura di professionista che evidenzia a priori tutta la sua fiducia nel chiedere allo studente ciò che ancora non ci si aspetta e che l’Autore definisce «ciò che ancora non è visibile nel presente».

Sicuramente vanno evitati due rischi: quello dell’essere solo l’insegnante facilitatore, che si limita alla chiamata lasciando poi l’alunno da solo a co-costruirsi le proprie strutture di conoscenza ma anche quello dell’insegnante che sa tutto ciò che gli alunni dovranno sapere e che incentra la sua azione educativa sul ruolo della spiegazione (chiedendo poi agli alunni di dimostrane l’assimilazione attraverso la prova di verifica).

Perché mi sono permessa, a inizio anno scolastico, di presentare un testo che sembra destinato ad alcuni «aficionados» e rischia di rimanere nell’ambito della speculazione teorica ?

Per due motivi soprattutto:

Perché ritengo fondamentale, quando si vuol sostenere le proprie idee, assumere lo sforzo di andare in profondità e non limitarsi, evitando la fatica della complessità, a navigare in superficie o a utilizzare la giustapposizione delle parole e la facilitazione dei messaggi, com’è di moda oggi.

Perché, mentre lo leggevo, mi venivano in mente molte situazioni che durante i miei anni scolastici ho avuto modo di rilevare o anche di discutere con insegnanti e genitori.

È vero che i docenti mettono in atto mille strategie per promuovere l’apprendimento e cercano in molti modi diversi di suscitare il coinvolgimento degli alunni ma alcune pratiche, alla luce di quel che sostiene Biesta, persistono in modo incoerente.

Ha senso che, già nelle prime classi della primaria, gli alunni vivano l’ansia dell’essere messi alla prova non tanto su ciò che sanno fare con ciò che hanno imparato quanto su quello che hanno mandato a memoria?

Ha senso che a un alunno che sbaglia, facciamo riscrivere 100 volte la parola sbagliata esprimendogli sicuramente non la fiducia nella sua revisione ma il peso della punizione?

Ha senso che alcuni alunni dichiarino di “non essere capaci” rinunciando a impegnarsi avendo immagazzinato di sé un’idea di scolaro destinato al fallimento?

Ha senso che, per assicurarci il consolidamento pur importante delle conoscenze, chiediamo agli alunni di occupare spesso troppo del loro tempo extrascolastico, destinato anche alle relazioni familiari e alle attività del tempo libero, per compilare esercizi ripetitivi che magari non sanno svolgere da soli? E chi, se non l’insegnante, deve aiutarli a capire come svolgerli?

Non vale la pena di fissare dei limiti, nella fiducia che la persona cresce a matura non soltanto attraverso le esperienze scolastiche?

Credo che la fiducia di cui parla Biesta non sia in contraddizione con il necessario rigore che la scuola oggi deve richiedere per formare i futuri cittadini acculturati e competenti.

Ma è importante continuare a esprimerci reciprocamente la fiducia, negli insegnanti e nel loro modo di insegnare, pur continuando a porci le domande che ci aiutano a migliorarci.

 

BIBLIOGRAFIA

Tutte le frasi virgolettate e scritte in corsivo sono citazioni riferite al seguente testo:

BIESTA GERT J.J., 2022, Riscoprire l’insegnamento, Raffaello Cortina Editore.

Per Gert J.J. Biesta l’insegnamento non deve essere necessariamente concepito come un atto di controllo, ma come un modo per innescare negli studenti la possibilità di sperimentarsi come soggetti.

Riscoprire l’insegnamento potrebbe porsi idealmente nel punto di incontro fra Esperienza e educazione di John Dewey e Lettera a una professoressa di Don Milani, senza fallire il suo obiettivo e senza sfigurare.

Con questo libro, dal linguaggio diretto e coinvolgente, Biesta porta il lettore a riconoscere la centralità dell’insegnamento e del ruolo dell’insegnante, inteso non solo come una figura legata al mondo della scuola, ma come una professione strategica a livello sociale e politico, capace di promuovere emancipazione e sviluppo consapevole nei soggetti della società di oggi e di domani.

Con continue domande e questioni che illuminano le conseguenze pratiche del suo ragionare, l’autore, dialogando con Emmanuel Lévinas, Paulo Freire, Jacques Rancière e altri pensatori, si chiede non solo cosa significhi fare l’insegnante, ma anche cosa voglia dire oggi esistere e agire come insegnante.

Rivolto a ricercatori e studenti che lavorano nel campo della filosofia dell’educazione e delle teorie dell’insegnamento, il testo enfatizza il ruolo fondamentale degli insegnanti per un’educazione intesa come emancipazione.

Client

Luciana Ferraboschi, Dirigente scolastica

Date

01 Ottobre 2022

Tags

Educare

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