Newsletter della scuola e dell'educazione

0108. DIARIO AMERICANO. Il sogno di libertà

0108. DIARIO AMERICANO. Il sogno di libertà

previous, Back, prev, Backward, Blue, Dynamic, Left, Arrow icon

 

 

«Tenetevi, o antiche terre, la vostra vana pompa - grida essa [la statua] con le silenti labbra - Datemi i vostri stanchi, i vostri poveri, le vostre masse infreddolite desiderose di respirare liberi, i rifiuti miserabili delle vostre coste affollate. Mandatemi loro, i senzatetto, gli scossi dalle tempeste e io solleverò la mia fiaccola accanto alla porta dorata.»

 

Recita così un passo scritto dalla poetessa statunitense Emma Lazarus dando la voce alla statua più famosa d'America: la Statua della Libertà. È stata per lungo tempo un faro di speranza per chi emigrava dalla propria terra d'Europa, accogliendo tutti coloro che si auguravano di ricominciare una nuova vita, realizzando sogni e speranze in una terra nuova, sconosciuta e ricca. Tutto ebbe inizio nel 1865, quando il politico francese Édouard René de Laboulaye ebbe l’idea di creare un monumento da donare agli Stati Uniti come segno d’amicizia, in occasione del primo centenario della Dichiarazione di Indipendenza, evento con cui si separarono dall’Impero Britannico il 4 luglio 1776. La proposta venne subito accolta dallo scultore Frédéric-Auguste Bartholdi, che immaginò una colossale statua classicheggiante in rame – il cui nome completo sarebbe stato “La Libertà che illumina il mondo“ – ispirata alla figura della Libertas, la dea romana della libertà. La scultura di Bartholdi, statica e solenne, tiene in mano una tavola su cui è incisa la data del giorno dell’Indipendenza mentre dalla testa si dipartono sette raggi, simbolo dei sette mari. È uno dei simboli d'America più conosciuti ed è meta turistica per antonomasia. È protagonista di molti film e documentari, perché essa simboleggia quel senso di libertà e di slancio a un futuro migliore, un sogno che tutti noi abbiamo: realizzare la propria felicità vivendo liberi di essere. Ma l'immagine cinematografica più terribile, che al tempo stesso rimarca la sua fortissima carica simbolica, è il finale del Pianeta delle scimmie (1968) in cui emerge dalla spiaggia quel che resta della Statua della Libertà e del mondo come lo conosciamo. In quel momento il film si rivela in tutta la sua apocalittica verità e quella fiaccola verso il cielo assume il significato tragico di una civiltà scomparsa.

Folle di immigrati raggiungevano perciò via nave quello che fino al 1954 è stato il centro di accoglienza agli Immigrati: Ellis Island. È un'isoletta parzialmente artificiale alla foce del fiume Hudson nella baia di New York, di fronte a Manhattan. Lì approdavano al porto di Ellis Island avevano l'obbligo di esibire ai medici del Servizio Immigranti i documenti d'imbarco con le informazioni sulla nave che li aveva condotti e i documenti d'identità per il riconoscimento personale, che sarebbero stati visionati e approvati durante le ispezioni mediche e burocratiche. Tali ispezioni, alle quali ciascun immigrante doveva sottoporsi, avevano lo scopo di valutare le condizioni fisiche e psicologiche dei pazienti esaminati, evitando in questo modo contagi da malattie infettive. Si documenta che solo il 2% degli immigrati fu respinto, giudicandolo non idoneo a soggiornare negli Stati Uniti.

Le testimonianze raccolte, scritte e orali, sono commoventi. Un  anziano ricorda il viaggio per nave dall’Italia, quando era un bambino. Parla con forza e lentezza. L’accento non è americano, ma neanche italiano. Racconta che tra chi partiva, qualcuno aveva portato un gomitolo di lana, e ne aveva lanciato un’estremità a un parente giù a terra. Allontanandosi la nave, il gomitolo si srotolava, prolungando il saluto a chi invece rimaneva. Poi, esauritosi, non rimaneva che un lungo filo nell’aria, sospeso nel vento, quando ormai la terra era lontana. Eppure c’è anche chi non trovò che disillusione. In una delle stanze del museo, sul muro, è inciso un famoso detto intitolato “Vecchia storia italiana”. Il detto fa così: “Sono venuto in America perché avevo sentito che le strade erano pavimentate d’oro. Una volta arrivato, ho capito tre cose. Primo, che le strade non erano pavimentate d’oro. Secondo, che le strade non erano pavimentate affatto. Terzo, che ero io che dovevo pavimentarle”. Questa fu la storia di moltissimi.

È da quel crogiolo di etnie, lingue e culture che è debitrice la società americana, che è definita un melting pot, un calderone in cui tutti gli ingredienti culturali e linguistici si sono mescolati a una realtà americana già esistente da un paio di secoli, prima indigena e poi coloniale, contribuendo così alla formazione della società statunitense che conosciamo oggi.

Ecco le parole di alcune nostre ragazze, che ci raccontano le loro impressioni come visitatrici di questi monumenti. "Quando siamo sbarcate su Ellis Island diverse emozioni ci hanno sovrastato, siamo rimaste molto colpite in primis dalla sala nella  quale venivano accolti gli immigrati poiché per il numero di rifugiati la stanza era decisamente di dimensioni ristrette. Inoltre pensare che cosi tante persone siano passate attraverso  quel luogo ci sembra surreale, come le tecniche che i medici utilizzavano per visitare le persone sbarcate."

"Per quanto riguarda la statua della libertà il lavoro svolto precedentemente in classe con Mr. Talavera ci ha aiutati a comprendere in modo più profondo il significato di libertà attribuito al monumento."

 

Al Memorial dedicato a Martin Luther King è nata una riflessione ancora più profonda e viva.

Quante battaglie e guerre per giungere alla libertà… da tutti invocata, da molti capita, da tantissimi bistrattata… oh libertà che unisci le masse, crei popoli e prometti futuro alla persona … oh amata libertà per conoscerti si dovrebbe imparare da quel bambino che stringeva nelle sue manine la sabbia per costruire il suo castello di sabbia ma più stringeva per paura di perderla scoprì, una volta arrivato, che aveva perso quasi tutta la sabbia. Dopo tanti tentativi capì che bisogna tenere le mani aperte per  trasportarne molta… così è la libertà, per viverla hai bisogno di un concetto di bene comune (volere il bene dell’altro). Se non vivi in questo senso di libertà, essa si trasforma in egocentrismo (lo voglio, lo devo avere): ho/abbiamo un SOGNO OGGI in questa vacanza studio di ESSERE COLORO CHE INDICANO ALLE NUOVE GENERAZIONI il cammino da vivere per essere veramente liberi : VOLERE IL BENE DEGLI ALTRI per avere il bene nostro … questa è LIBERTÀ!

 

… ho un sogno per domani, lo dobbiamo costruire oggi…

Client

p. Giovanni Costioli, prof. Ubbiali e i ragazzi della Secondaria

Date

09 Luglio 2022

Tags

Esperienze

Area riservata

Newsletter

Inserisci il tuo nome e la tua email per tenerti aggiornato sulle attività della scuola

Search