Siamo arrivati, sembra in un baleno, alla conclusione di un altro anno scolastico.
Come spesso capita di fare, dopo un anno di pensieri educativi, di proposte, di idee che abbiamo cercato di tradurre in esperienze significative, sentiamo come scuola la necessità di ricordare la stazione di partenza, l’itinerario percorso e infine di ripensarsi nel momento dell’arrivo. Per continuare ad alzare gli sguardi verso il prossimo 12 settembre che già ci aspetta.
Ci domandiamo: Quali aspetti del nostro agire sul piano educativo e didattico hanno lasciato quest’anno dei segni che ci inducono a proporre dei cambiamenti? Quali soluzioni progettuali e metodologiche vogliamo collocare dalla parte degli studenti per migliorare l’azione formativa?
Certo quest’anno siamo rientrati definitivamente nella scuola in presenza ma la pandemia ha profondamente segnato i nostri modi di stare a scuola; obbligati alle cautele e ai distanziamenti stiamo soltanto ora gradualmente recuperando le connessioni interpersonali, stiamo riconquistando i contatti, gli sguardi ravvicinati, i gesti e i sorrisi che finalmente ricompaiono sui volti.
Così, potendo “dialogare in vicinanza”, come ci suggerisce Daniela Lucangeli (Lucangeli,2021) abbiamo ripreso in mano le routines che il virus ci aveva obbligato a lasciar perdere (laboratori, lavori di gruppo, spettacoli, cori, visite guidate, gite scolastiche e weekend nelle città...) tornando a riempire la scuola della abbondanza della condivisione di cui tutti, ma i ragazzi in primo luogo, sentivamo la mancanza.
A differenza di chi ci vuole, dopo la pandemia, disorientati e dispersi, noi vogliamo invece credere che, dopo un percorso che ci ha messo alla prova, ne stiamo uscendo con una consapevolezza (delle fatiche, dei sacrifici, delle privazioni) che ci dà maggiore forza sia per apprezzare ciò che abbiamo costruito, sia per continuare a proiettarci.
Lungo la via che dall’inizio dell’anno scolastico ci ha condotto sin qui, come insegnanti ed educatori allenati alla resilienza, ci soffermiamo a riflettere sugli aspetti che legittimano il nostro modo di operare e danno le direzioni di una scuola che vuole guardare al futuro.
Prima direzione: orientarsi alle life-skills. Un disegno di legge (n. 2372) già approvato dalla Camera e ora in discussione al Senato prevede, a partire dal prossimo anno scolastico, una sperimentazione nazionale triennale per attività finalizzate allo sviluppo delle competenze non cognitive nei percorsi delle scuole di ogni ordine e grado.
Ma cosa sono le competenze non cognitive?
Delineate dall’OMS circa 30 anni fa (1994) e definite anche dall’OCSE come “competenze chiave per una vita di successo e per una società ben funzionante “, si tratta di abilità che portano la persona ad assumere comportamenti di adattamento alla vita e la rendono capace di far fronte alle richieste e alle sfide della quotidianità. Tra queste la capacità di non disorientarsi di fronte ai cambiamenti, di gestire lo stress e le proprie emozioni, di lavorare con gli altri e di comunicare in modo efficace ed empatico, di prendere decisioni originali e di affrontare situazioni problematiche. Non si tratta di abilità linguistiche, logico-matematiche e scientifiche ma di competenze trasversali che permettono agli studenti di sviluppare atteggiamenti positivi per far fronte ad eventuali inciampi, che, nella vita, capita spesso di incontrare. Nella scuola, come nella vita, è importante essere preparati sul piano culturale ma decisive risultano essere le competenze umane e sociali che ognuno di noi riesce a utilizzare per affrontare situazioni problematiche a partire dai saperi acquisiti.
Già il Parlamento Europeo, nella Raccomandazione del maggio 2018, aveva ridefinito le Competenze chiave di cittadinanza declinandole in relazione al benessere personale e sociale della persona. Così “imparare a imparare “è diventata non solo una competenza che permette a ciascun alunno di farsi autonomo negli apprendimenti acquisendo un metodo di studio funzionale ed efficace ma anche una potente modalità per rinforzare la propria autostima e per mettere la persona nella condizione di sentirsi autoefficace, soddisfatta di sé del proprio modo di essere.
Si chiamano life-skills (per distinguerle dalle hard skills che fanno riferimento alle competenze tecnico-specialistiche anche se in realtà non vi è alcuna netta separazione) e risultano essere cruciali tanto nel contesto scolastico quanto in quello lavorativo. Tra un bambino che adempie ai propri compiti e stop, e un altro che lo fa con accuratezza e originalità, che resiste alla fatica e non si lascia distogliere dal lavoro fino alla sua conclusione c’è la differenza che sta tra uno scolaro esecutivo e uno scolaro motivato e proteso verso il successo e il miglioramento e, in quanto tale, capace di implementare se stesso. Accade lo stesso nel contesto lavorativo quando, a parità di preparazione sul piano tecnico, la scelta cade su chi è in grado di collaborare, di comunicare in modo più efficace, di assumersi responsabilmente impegni e prendere decisioni, di assumere il rischio per puntare al successo. Qualcuno le ha definite “Character skills“ (Chiosso, 2021) o “Disposizioni della mente“ (Costa e Kallick, 2007) , a indicare l’interazione tra atteggiamenti della persona e processi intellettivi capaci di guidare le scelte.
Impossibile oggi per la scuola non tenerne conto, anche rivedendo i propri percorsi curricolari allo scopo di favorire consapevolmente la promozione di tali abilità e il loro utilizzo nel processo di insegnamento-apprendimento.
Il progetto “imparare a imparare” che caratterizza da molti anni l’offerta formativa della scuola Sacra Famiglia non potrà non diventare ancora più significativo ed efficace proprio nella riformulazione delle sue pratiche metacognitive capaci di operare, in modo trasversale, quale sfondo integratore di un agire didattico proiettato al benessere cognitivo ed emotivo dei propri studenti.
Seconda direzione: assumere il disagio degli alunni. Oggi l’attenzione della scuola va decisamente posta sul disagio degli alunni, a partire dai più piccoli ma senza dimenticare gli adolescenti che ci stanno evidenziando i sintomi di una inquietudine sociale diffusa. Matteo Lancini intitola un suo libro “Il ritiro sociale negli adolescenti “. Secondo lui la rivoluzione digitale ha sicuramente aperto nuove forme di espressione ma ha anche costruito spazi di ricovero entro cui gli adolescenti in crisi finiscono spesso per scegliere di rifugiarsi ritirandosi dalla socialità.
Allo stesso modo il prof Giuseppe Nicolodi e le sue collaboratrici ci avvertono che, accanto al disagio adolescenziale, che fa rumore e si impone con forza all’attenzione degli adulti, esistono forme più nascoste e silenti che riguardano la prima infanzia, che spesso trovano difficoltà ad uscire dal privato ma che sono altrettanto importanti. “Sono le forme di disagio di tipo comportamentale derivate da un malessere emotivo difficilmente identificabile nelle classiche sindromi... “ (Nicolodi 2008) che possono coinvolgere un bambino nei normali processi di crescita e che, nell’entrare in contatto con la scuola, possono tradursi in disagio scolastico .
È questo il motivo per cui, in ottica preventiva, le insegnanti del Nido, della scuola dell’Infanzia e delle prime classi della scuola Primaria di entrambi le SCUOLE di Martinengo e di Orzinuovi hanno frequentato, anche quest’anno, un corso di formazione con la dott.ssa Carpi e la dott.ssa Novaro (collaboratrici del prof Nicolodi) per imparare a riconoscere i messaggi di aiuto che possono provenire dai più piccoli e per acquisire strumenti per accogliere e decodificare le loro richieste. A partire dall’idea che, sia sul piano professionale che su quello deontologico, l’insegnante è lì per il bambino di cui deve prendersi cura le domande che la scuola impara a farsi e che utilizza in funzione sempre più inclusiva sono:
Bambino, hai un problema? Portalo pure a me che sono qui per accoglierlo. Io so come fare e ti aiuterò ad affrontarlo. Magari non riusciremo a risolverlo ma sicuramente non ne verrà aggravato perché io insegnante lo affronto insieme a te.
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Pur delimitando i confini dell’intervento del docente (che non può oggettivamente rimuovere cause che stanno oltre le sue competenze professionali) è confortante sapere che l’insegnante “vede, interpreta e coglie“ il messaggio di aiuto del bambino, lo decodifica e offre le sue competenze pedagogiche e didattiche per trovare delle risposte .
Nicolodi parla di “orgoglio educativo“ che è proprio l’atteggiamento che, come scuola, vogliamo assumere per continuare a essere sempre di più “al servizio” dei nostri alunni. Infatti anche la nostra formazione sta continuando e riprenderà a Ottobre con una nuova riflessione sull’importanza del gioco psicomotorio e delle sue valenze emotive, cognitive e relazionali.
Terza direzione : il collegamento con il territorio Nel 2023, Brescia-Bergamo capitale della cultura .
Il progetto e il relativo protocollo sottoscritto dalle due città entro cui agiscono le scuole della Sacra Famiglia (Orzinuovi in provincia di Brescia, Martinengo in provincia di Bergamo) non possono lasciarci indifferenti e già abbiamo lanciato delle provocazioni per entrare a farne parte.
L’immagine di una scuola che si proietta sul proprio ambiente non è affatto una novità; i documenti ministeriali (Miur,2012) collocano nella “continuità orizzontale” tutte le diverse forme di interlocuzione sinergica tra la scuola e l’ambiente su cui essa agisce ed esplicitamente prevedono che la scuola promuova attività finalizzate alla maturazione del senso storico e artistico, della responsabilità ambientale, dello sviluppo delle competenze tecnologiche in termini di conoscenza/fruizione del territorio di appartenenza.
Alcune esperienze sono già parte del nostro curricolo scolastico (uscite sul fiume, collaborazioni con le biblioteche locali, esplorazioni delle città, studio dei beni culturali del proprio contesto, interazioni con i servizi ...) ma, aprendo le porte della scuola in uscita e in entrata, vorremmo andare oltre per utilizzare il territorio come un vero ambiente di apprendimento.
Il perché è facilmente intuibile: una scuola che orienta la propria azione didattica sul fuori è sicuramente capace di andare oltre i limiti della trasmissione delle conoscenze per sviluppare compiti di realtà che necessariamente passano dall’esperienza diretta. Le risorse presenti (paesaggi naturali, patrimonio artistico e culturale, servizi ma anche realtà produttive capaci di evidenziare i processi di trasformazione dei prodotti o la ricerca delle nuove forme di energia) costituiscono opportunità che spesso, pur partendo dalle pagine del libro, ne permettono approfondimenti che si agganciano alla concretezza. L’agire non solo con gli occhi della mente ma utilizzando le mani e gli altri sensi per “fare” in situazioni di avvicinamento alla realtà costituisce inoltre un approccio capace di promuovere apprendimento passando attraverso le emozioni. La vicinanza e la concretezza dell’immediatamente esperibile, l’alone affettivo della familiarità con gli oggetti appartenenti al sé o alla vita delle persone vicine, il legame percepito con la propria storia o con la storia della propria famiglia riescono a suscitare la motivazione, la curiosità e l’interesse che spesso risultano carenti nello studio mnemonico e a reggere lo sforzo degli studenti per un impegno più significativo e più coinvolgente.
A partire dalle esperienze già in atto di “SCUOLA DEI GENITORI”, nelle quali i genitori dei nostri alunni predispongono specifiche lezioni attive che poi propongono alle classi con grande successo emotivo e formativo, ci piacerebbe coinvolgere i genitori quali “INSEGNANTI IN CATTEDRA”; competenti su alcuni settori specifici, i loro saperi esperti potrebbero servire ad approfondire le conoscenze già acquisite dagli studenti e a evidenziarne la pratica professionale correlata (per far emergere il sapere/ il saper fare insieme al saper essere dei professionisti in opera) .
Emerge dunque la direzione, per il prossimo anno scolastico, di spingerci un po’di più fuori dall’aula scolastica ma anche quella di catturare aspetti della realtà esterna per “scavare” nella cultura del proprio paese e fondare le conoscenze scolastiche. In uno scambio generazionale virtuoso che aiuta gli alunni a confrontarsi con la realtà.
Per ultimo, ma non ultimo, ci interessa far emergere la possibilità della costruzione delle sinergie di rete. Senza addentrarsi nelle facili legittimazioni allo sviluppo di una cultura di rete capace di organizzare risposte sempre più puntuali e diversificate ai bisogni degli alunni, è sufficiente constatare il guadagno che emerge nell’operare nella condivisione trovando sempre più partners con i quali raccordare e rinforzare la propria azione formativa.
Con i partners (Enti locali, altre scuole, genitori, agenzie educative e persino soggetti privati) la scuola amplia e rinforza la propria offerta formativa consapevole che la promozione della cultura e l’educazione (al rispetto, alla pace, ma anche quella per lo sviluppo di una cittadinanza responsabile) non sono compito esclusivo della scuola; esse trovano la possibilità di declinarsi solo se assunte e condivise dalla pluralità dei soggetti che, ai diversi livelli, agiscono in rete per costruirne il tessuto di sostegno.
Conclusione. Ci siamo autovalutati per andare oltre e, per questo, possiamo dire di aver concluso in bellezza questo anno scolastico. Come scuola inseguiamo la pienezza, non la perfezione; anzi siamo convinti che la consapevolezza della propria imperfezione continui ad essere la molla per proiettarsi sul miglioramento .
Bibliografia di riferimento
Chiosso G., Poggio A.M., Vittadni G., (2021), “Viaggio nelle character skills. Persone, relazioni, valori.” Il Mulino
Costa A., Kallick B.,2007, “Le disposizioni della mente. Come educare insegnando”, LAS Roma
Lancini M., “Il ritiro sociale degli adolescenti” Raffaello Cortina Editore
Lucangeli D, 2021, “La mente che sente”, Erickson
Nicolodi G.,2008 , “Il disagio educativo al nido e alla scuola dell’infanzia” , FrancoAngeli
Nicolodi G.,2010 , “Il disagio educativo alla scuola primaria” , FrancoAngeli